Calcio

L’Atalanta, una ‘Dea’ fonte di ispirazione

La squadra di Gian Piero Gasperini protagonista in serie A e in Europa mercoledì affronterà lo Young Boys in Champions League

È senza ombra di dubbio una delle realtà più sorprendenti del panorama europeo: senza i mezzi economici delle grandi società, l’Atalanta (avversaria mercoledì dello Young Boys in Champions League) negli ultimi anni ha raggiunto una dimensione degna dei club più prestigiosi, al cospetto dei quali ha infatti imparato a rivaleggiare ad armi pari.

Per molto tempi i bergamaschi hanno fatto l’ascensore, tra una posizione di prestigio in serie A e il purgatorio tra i cadetti. Oggi, per contro, l’Atalanta è un marchio ben definito, nel quale i tifosi si identificano, dando vita a una società con molti estimatori cresciuta a tutti i livelli negli ultimi cinque anni. Sono infatti stati completamente ristrutturati stadio e centro di allenamento, in città è stato aperto un vero e proprio Fan-Shop. La cifra d’affari si attesta attorno ai 200 milioni di euro, il triplo rispetto a cinque anni or sono.

Da gregari a campioni

Dopo che l’Atalanta lo scorso maggio arrivò in finale di Coppa Italia, perdendo contro la Juventus, su un accesso alla città comparve la scritta “Benvenuti a Bergamo, la città dell’Atalanta”.

È l’Atalanta di Gian Piero Gasperini, artefice del “miracolo” sportivo di una squadra di calciatori che poche stagioni fa avremmo definito gregari e che oggi celebriamo invece come campioni, giocatori di prima fascia molti dei quali nazionali dei rispettivi paesi proprio grazie ai progressi fatti agli ordini del “Gasp”.

Nativo di Grugliasco, il 63enne tecnico entrò in carica con l’obiettivo di portare l’Atalanta alla salvezza. Fece molto di più: guidò la squadra che già poteva contare sul rossocrociato Remo Freuler al quarto posto. Da quel piazzamento, i bergamaschi non sono mai più usciti dalle Coppe europee. Le tre ultime stagioni le hanno vissute – con successo – in Champions League, competizione della quale sono ormai una realtà consolidata. I traguardi sportivi, però, non sono che una parte del successo della squadra, protagonista di un calcio dinamico, spettacolare, votato all’offensiva. Nelle ultime tre stagioni nessuna compagine di serie A ha segnato tante reti come la “Dea” (“Atalanta” è un’eroina della mitologia greca): 98 nel campionato 2019/20, 90 l’anno successivo.

Pressing e possesso palla

L’Atalanta ha ispirato l’Italia, lo stile spregiudicato ha indotto una Nazionale – e forse anche l’intero movimento calcistico – a smarcarsi dalla tradizionale prudenza per abbracciare il rischio e il gioco votato all’attacco. Molte squadre hanno seguito l’esempio dei bergamaschi, adattando il proprio gioco a un concetto innovativo rivelatosi di successo. Gli Azzurri, dal canto loro, hanno entusiasmato agli Europei. Capitan Rafael Toloi, uno dei due nerazzurri campioni d’Europa con l’Italia (l’altro era Matteo Pessina), ha individuato una similitudine tra gli Azzurri e la sua squadra di club: «Pressing alto, possesso di palla, quanto ci chiede anche Mancini in Nazionale».

Se il contributo dell’Atalanta alla causa azzurra è stato limitato a due calciatori, l’impronta atalantina sugli Europei è decisamente marcata: basti ricordare che oltre a Toloi e Pessina, sono stati altri otto i bergamaschi protagonisti in sette Nazionali diverse alla rassegna continentale.

L’ascesa di Freuler e Djimsiti

Bergamo è una piazza che si presta bene al lancio o alla valorizzazione di calciatori che partono con un profilo basso, per poi imporsi all’attenzione dei grandi club a suon di prestazioni di livello. Sono due gli elvetici che lo dimostrano. Uno degli esempi più eclatanti di come un giocatore “normale” possa anno dopo anno salire di tono fino a diventare un punto fermo dell’undici titolare, del club come della Nazionale, è Remo Freuler. Passato all’Atalanta dal Lucerna nel 2016 per due milioni di euro, oggi ne vale venticinque. Berat Djimsiti lo raggiunse sei mesi dopo, svincolato dallo Zurigo. Oggi il suo valore di mercato si attesta attorno ai venti milioni. Ma non è solo una questione di soldi, giacché proporzionalmente al prezzo del “cartellino” è salito anche il livello delle prestazioni di giocatori un tempo gregari, oggi primattori.

Il bacino di calciatori sui quali la “Dea” può contare è ampio, costituito per lo più da giovani che sono mandati in prestito a farsi le ossa. A scadenze regolari, un campione viene “sacrificato” sul mercato, per fare cassa e finanziare le operazioni fatte in entrata. Gasperini, attivo in passato nelle giovanili della Juventus poi al Genoa e all’Inter, ha dimostrato in più di un’occasione di avere occhio per i talenti magari inizialmente sconosciuti che è poi in grado di fare emergere fino a farne dei calciatori appetiti dai principali club rivali.

Basi solide

Tante volte è stata predetta la fine della cavalcata bergamasca, è stata anticipata la fine di un ciclo che invece non si è ancora esaurito, in quanto basato su fondamenta solide. Quelle poste, ancor prima che Gasperini si accomodasse in panchina, dal presidente Antonio Percassi, ex difensore dell’Atalanta e imprenditore di successo, e del direttore sportivo Giovanni Sartori, l’artefice del miracolo Chievo, per tanti anni matricola terribile della serie A.

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