Calcio

Kiev e quella grigia tristezza che non se ne vuole andare

La capitale ucraina, incastrata tra un passato pesante e la voglia di rinascita, ha tanto da offrire, comprese (in primis) le sue molte contraddizioni

(Maric e Croci-Torti alla scoperta di Kiev Ti-Press/Golay)
12 dicembre 2019
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Memori anche di quanto si sono inventati a Malmö per onorare l’idolo locale (Zlatan Ibrahimovic, la cui statua troneggia di fronte allo stadio cittadino), ci lasciamo inizialmente “ingannare” quando raggiunto il nostro albergo di Kiev ci rendiamo conto che si trova lungo la Shevchenko Boulevard. Scopriamo però rapidamente che una delle principali arterie della capitale non è dedicata al pallone d’oro 2014 nonché attuale allenatore della nazionale ucraina Andriy (in ogni caso a sua volta idolatrato da queste parti), bensì a Taras, poeta ed eroe nazionale. Ed effettivamente ben più che l’aria di calcio, lungo le vie della città più popolosa dell’Ucraina (poco meno di 3 milioni di abitanti) si respira il profumo di una storia allo stesso tempo dolce e aspra, con la lotta per la tanto agognata indipendenza (ottenuta nel 1991 in seguito alla dissoluzione dell’Urss), il passaggio in particolare della seconda guerra mondiale e la catastrofe di Chernobyl (circa 130 km più a nord) che hanno lasciato ferite non ancora del tutto rimarginate, ma che in fondo Kiev ha deciso con fierezza di non nascondere.

Più che un aeroporto, un cimitero di aeromobili

Così capita che dall’aereo ti pare di atterrare in piena città – all’aeroporto Zuljany, quello secondario, che più che un terminal ancora oggi utilizzato pare un cimitero di aeromobili militari e non – tra la marea di casoni grigi che ne disegnano la silhouette tanto quanto il fiume Dnepr e le costruzioni storiche sparse tra il centro antico e le zone più moderne, compreso il quartiere universitario, divisi appunto dalla Shevchenko blvd. E anche quando rimani estasiato ad ammirare (ancor più la notte) meraviglie quali la cattedrale ortodossa di Santa Sofia e il monastero di Kijev-Pechersk (con le loro cupole dorate inseriti nel Patrimonio Mondiale dell'Umanità), c’è sempre quel velo di grigia tristezza che sembra ricoprire tutto. E non è un caso se percorrendo la principale via commerciale della città (Khreshchatyk) alzando lo sguardo noti schermi giganti e giochi di luce proiettati sui palazzi più moderni, ma poi ti passa accanto un pulmino malmesso stracolmo di operai che ti riporta indietro di decine di anni. Per non parlare del fatto che nel quartiere di Podil c’è un museo dedicato alla citata tragedia di Chernobyl e a pochi isolati di distanza sono nate agenzie che propongono a turisti di tutto il mondo delle gite di un giorno nella cosiddetta zona di alienazione, area contaminata di un raggio di 30 km attorno al luogo del disastro il cui accesso è strettamente regolato. E sono solo alcune delle contraddizioni di una città rimasta incastrata tra un passato pesante e la voglia di rinascere, che però la rendono davvero molto interessante.

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