Federico Beresini e Tommy Antunovic: importanti novità a livello tecnico per il sodalizio verbanese, presieduto ormai già da un anno da Roberta Iuva
Da qualche settimana è ripresa l’attività del Boxe Club Ascona, che l’8 marzo a Martigny ha portato a combattere – con buoni risultati – tre sue atlete in una serata dedicata esclusivamente al pugilato femminile. Il punto della situazione sul sodalizio, e sulle novità che lo riguardano, lo tracciamo con Roberta Iuva, presidente ormai da un anno, che ha ereditato dal padre la passione per il ring. «Questo mio primo anno da presidente è stato molto positivo, emozionante ma pure impegnativo. Ogni cambiamento comporta la riorganizzazione di certi equilibri all’interno del comitato, così come con gli allenatori. Soprattutto, però, vorrei ricordare le impagabili soddisfazioni che mi hanno dato i ragazzi. Ricopro volentieri questa carica proprio perché i ragazzi portano tanto entusiasmo».
Quali sono stati i cambiamenti più significativi, rispetto alla precedente gestione della società? «Innanzitutto abbiamo fatto diversi investimenti, specie per quanto concerne il materiale. Inoltre abbiamo acquistato le nuove divise e le nuove magliette, dato che proprio a inizio 2024 era cambiato il logo. E poi, soprattutto, abbiamo sostituito il ring d’allenamento, senza dimenticare tutto il lavoro che abbiamo svolto nella ricerca di sponsor. E poi – nel tentativo di dare una solida continuità al club – abbiamo deciso di intervenire a livello tecnico, inserendo due nuovi allenatori, anche se poi non è che siano proprio ‘nuovi’, dato che entrambi hanno già un notevole passato in seno al nostro sodalizio. Si tratta di Tommy Antunovic – nostro ex pugile, un bel peso piuma – e Federico Beresini, già nostro tecnico e direttore sportivo. L’esperto Beresini ha concluso lo scorso anno il suo mandato con Swiss Boxing, mentre Antunovic ha da poco conseguito il diploma di allenatore. Entrambi hanno accettato con entusiasmo, e con emozione, l’idea di tornare a far parte del nostro organico, anche perché hanno sempre avuto a cuore le sorti del club, e dunque con loro torniamo a essere un po’ una famiglia. Sono convinta che i due nuovi tecnici, coi loro metodi di allenamento, porteranno un bel contributo alla nostra attività, ovviamente insieme ai due preparatori fisici Dellamora e Cocconi».
Poco fa hai citato gli sponsor: com’è la risposta da parte dei potenziali sostenitori? «Oggi si fa abbastanza fatica a trovare aiuti, un po’ in ogni contesto sportivo. Noi, per fortuna, abbiamo alcuni sponsor molto fedeli, che tengo a ringraziare, e dunque abbiamo un buon sostegno. Tengo poi a ringraziare di cuore anche il Comune di Ascona, che ci mette a disposizione gratis gli spazi per gli allenamenti. Si tratta di un accordo che risale ai tempi della presidenza di Michele Barra e che le autorità cittadine – che ci danno una mano anche in molti altri modi – hanno voluto continuare a mantenere, e per noi è davvero un grosso aiuto».
E i vostri eventi come sono andati? «Lo scorso anno abbiamo organizzato, come di consueto, due riunioni pugilistiche. Quest’anno ne faremo probabilmente una sola, credo in autunno, ma sarà più bella e più ricca per quanto riguarda il livello tecnico degli incontri e per la presenza di qualche ospite importante. Sarà una serata che organizzeremo in collaborazione con gli altri club ticinesi».
Fra le novità, come detto, il ritorno a bordo ring di Federico Beresini, che è stato allenatore ad esempio del campione del mondo Ruby Belge: «Ho subito apprezzato il progetto che mi è stato proposto da Roberta, perché mi dà l’opportunità di potermi esprimere. A livello tecnico, segnalo il fatto che Anna Jenni – pugile di notevole valore – ha deciso di tesserarsi presso di noi. Negli ultimi 4 anni si è sempre allenata con me, e ora ha deciso di seguirmi in Ticino. Lei era tesserata per Basilea, ma si allenava a Lucerna. Sarà un grande esempio per le nostre ragazze più giovani. Fra l’altro, in queste prime fasi di lavoro presso il club stiamo puntando in particolar modo sul settore femminile, del quale una delle atlete di punta è Noemi Iuva, figlia della nostra presidente. Con Tommy, che nel passato è stato mio ex pugile e dunque conosco bene, abbiamo un’idea ben precisa sul tipo di lavoro da svolgere. C’è sintonia fra noi due, e sicuramente faremo un buon lavoro, anche perché siamo sostenuti appieno dal comitato. Riusciremo a tenere alto il blasone del club, che è sempre stato all’avanguardia e un punto di riferimento non solo in Ticino ma per tutta la Svizzera. Sono sicuro che sapremo raggiungere buoni risultati, sia a livello puramente agonistico, ma anche per quanto concerne l’aspetto educativo della boxe per i giovani, che anche grazie alla frequentazione della palestra possono imparare una certa educazione e una certa disciplina. Ricordo inoltre che la nostra palestra è aperta a tutti: molti nostri soci vengono infatti soltanto ad allenarsi, e non saliranno mai su un ring, ma hanno la grande chance di potersi allenare insieme agli agonisti. Abbiamo soci che hanno 50 o 60 anni, e ognuno ha la possibilità di tenersi in forma, ovviamente al proprio ritmo».
La palestra, spesso, serve anche a canalizzare nel migliore dei modi l’eccesso di energia che qualche ragazzo rischia magari di manifestare nella maniera sbagliata…
«Io sono nel mondo del pugilato praticamente da 40 anni, e in effetti solo in un paio di occasioni mi è capitato di vedere ragazzi che tiravano di boxe e che andavano anche in giro a menare le mani. In tutti gli altri casi, e sono moltissimi, ho avuto a che fare con ragazzi da ammirare per tutti i sacrifici che facevano in palestra. Chi interpreta bene il nostro sport non ha certo bisogno di dimostrare chissà cosa, una volta sceso dal ring o una volta uscito dalla palestra».
Beresini ha lavorato fra l’altro molti anni in polizia… «Esatto, e mi occupavo proprio delle dinamiche giovanili, quindi ho sempre saputo se succedeva qualcosa di non tanto bello, e garantisco che a creare problemi non era mai chi frequentava la palestra. I giovani hanno bisogno di persone che li accolgano e che li ascoltino, proprio come succede nel nostro club».
Di recente hai lavorato per alcuni anni in seno alla federazione svizzera: in che cosa questa esperienza ti è stata utile? «Dal 2011 ho lavorato appunto per Swiss Boxing, dapprima a tempo parziale – visto che avevo ancora il mio impiego – e poi a tempo pieno, restando in pratica all’estero per 8-9 mesi all’anno. Ho potuto aumentare notevolmente la mia esperienza, specie grazie al fatto di lavorare a contatto di altre nazioni e altre federazioni. Ho svolto Preolimpici, Europei, Mondiali: tutte attività di alto livello, che hanno senz’altro arricchito il mio bagaglio d’esperienza e conoscenza della nostra disciplina».
Anche per Tommy Antunovic, come detto, la scelta di Ascona è un ritorno a casa… «Esatto, un ritorno che mi ha scatenato molte emozioni e molti ricordi. Mi fa enorme piacere lavorare con Federico, cioè colui che mi ha cresciuto come pugile. Sapere che in palestra avrei ritrovato anche lui ha senz’altro contribuito a farmi accettare la proposta fattami dalla presidente. Io avevo iniziato coi primi allenamenti di boxe nel 1999, quando avevo 12 anni, e l’anno seguente facevo già sparring e qualche incontro. Ciò che ci aspetta è una grande sfida, anche perché i giovani di oggi sono diversi da quelli di venti o venticinque anni fa. Hanno un modo di approcciarsi agli adulti molto diverso, e usano un linguaggio differente. Noi avevamo altri modi per rivolgerci agli adulti! Noi sentivamo nettamente la differenza di età con gli adulti, oggi mi pare invece che questa spaccatura non sia più così marcata. In realtà, era una distanza utile, specie in palestra, dove i ruoli devono essere ben definiti, e dove anche i diversi momenti devono restare divisi: quando si lavora bisogna farlo seriamente, nelle pause invece è anche possibile scherzare. La disciplina, come diceva prima anche Federico, è fondamentale, nello sport ma anche al lavoro e nella vita in generale: sta alla base di tutto».
Nel tuo percorso personale, quanto è stato importante uno sport come la boxe? In che modo la disciplina sviluppata in palestra ti è tornata utile nella vita di tutti i giorni? «Mi ha aiutato molto, questo è certo. Io sono arrivato qui da piccolo, negli anni 90, con un percorso di emigrazione legato alla guerra in Bosnia. Giunto in Svizzera, nella mia testa c’era parecchia confusione. E la boxe, che di solito viene vista come uno sport violento, nel mio caso è stata esattamente l’opposto: mi aiutava a sfogarmi, certo, ma soprattutto mi è servita per trovare me stesso e per incanalarmi in un percorso positivo. Se oggi sono diventato allenatore, è anche per poter restituire in qualche modo l’aiuto che io stesso ho ricevuto da ragazzino dalle persone e da questa disciplina sportiva. Di certo, ad ogni modo, sono dovuti passare alcuni anni prima di decidere di diventare allenatore dopo che avevo smesso di combattere, perché è un ruolo che richiede una certa maturità e idee molto chiare. Un allenatore infatti può fare del bene, è innegabile, ma può pure fare dei danni, e dunque per poterlo fare devi essere abbastanza maturo e convinto della tua scelta».
Com’è allenare le ragazze? «In loro noto maggior dedizione rispetto a quella mostrata dai maschi, e a livello tecnico curano molto di più i dettagli. I ragazzi invece, specie in certe fasce d’età, vogliono solo dimostrare di essere forti e di saper ‘fare a botte’. Passano molto tempo a guardare video di pugili famosi, e tendono a concentrarsi più sulla forza che sulla tecnica. Coi maschi impieghi più tempo a far passare alcuni concetti tecnici e la loro importanza, mentre le ragazze – forse perché maturano prima – sono molto più ricettive».
«Oltre a ragazze promettenti o già affermate», specifica Beresini, «nel club abbiamo comunque anche dei maschi potenzialmente in grado di diventare ottimi pugili. Marvin Guerini, ad esempio, è appena tornato dagli Usa, dove è rimasto un mese e mezzo ad allenarsi, ed è un ragazzo di sicuro valore. L’importante però, in generale, è non bruciare le tappe e portare qualcuno a combattere troppo presto, che è probabilmente il peggiore errore che si possa commettere nel nostro sport, perché c’è il rischio che qualcosa vada male e che poi il ragazzo decida di togliersi i guantoni e non infilarli mai più».