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L’addio di Pepe Regazzi: ‘Adesso largo ai giovani’

Il ticinese lascia dopo quasi vent’anni ricchi di successi la Nazionale di snowboard freestyle: ‘Servono più allenatori e maggiore professionalità’

‘I ricordi più belli sono legati ai momenti conviviali’
(Keystone)
20 ottobre 2023
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Undici anni alla guida della Nazionale di halfpipe, quasi una ventina nello staff. Il ticinese Pietro ‘Pepe’ Regazzi è un punto di riferimento nel panorama dello snowboard freestyle svizzero. Ora però Regazzi ha deciso di cedere il suo posto al 32enne tedesco Patrick Cinca.

Quali sono le ragioni per queste dimissioni?

Ci sono tanti motivi, emersi negli ultimi anni. Tra di questi sicuramente la voglia di nuove esperienze, ma innanzitutto il fatto che sono da vent’anni in seno alla Nazionale, prima come assistente di Marco Bruni e poi come capoallenatore, quindi mi sento il “nonno” della Federazione di snowboard e, di fatto, non so quanti allenatori durino così tanto. Dopo aver girato il mondo per tutto questo tempo e aver avuto la fortuna di vivere eventi importanti, come le gare di Coppa del mondo, Campionati del mondo o le Olimpiadi (di cui ho preso parte a cinque edizioni), inizio a sentirmi stanco. Un altro punto è che agli inizi la differenza d’età tra me e gli atleti era di una decina d’anni, ora inizio a vedere boarder anche di quarant’anni più giovani di me. Un po’ di differenza ci vuole, ma si sa che nelle discipline freestyle gli atleti sono performanti in giovanissima età, già attorno ai quindici-sedici anni. Lo si vede anche in altri sport come lo skateboard. Per cui a 55 anni mi ritrovo a essere un po’ distante anche per quello che riguarda il linguaggio, la cultura e la maniera di vedere le cose dai teenager con cui lavoro. Penso sia dunque il momento ideale per l’arrivo di un allenatore più giovane, con una nuova energia e con la motivazione di costruire qualcosa.

Sul suo successore Patrick Cinca cosa ci può dire?

Ci conosciamo personalmente da diversi anni, lo avevo incontrato già quando era ancora un atleta sul circuito, poi è passato dall’altra parte presto e ha avuto la fortuna di lavorare con la duplice campionessa olimpica di big air Anna Gasser, austriaca, dunque ha potuto accumulare grande esperienza internazionale. Conoscendo bene Anna, ho potuto parlare spesso con Patrick. Inoltre gli europei tendono ad aiutarsi contro americani, giapponesi e il resto del mondo, si parla e si lavora spesso assieme.

L’annuncio della sua partenza arriva però a ridosso dell’inizio della stagione, sabato debutteranno i protagonisti del big air a Coira, mentre nell’halfpipe si comincerà il 6 dicembre in Cina. Come mai questa tempistica?

Questo è forse il tema più scottante, da anni chiedevo alla Federazione un cambio, tutti questi anni di viaggi, fusi orari da smaltire e frequenti assenze da casa dopo un po’ diventano stancanti, per cui avevo espresso il desiderio di assumermi dei compiti dietro le quinte, organizzativi e logistici. La Federazione non è però riuscita a trovare i presupposti per creare una funzione confacente alle mie richieste, non siamo arrivati alla soluzione ideale per me e per loro. Inoltre ho spesso chiesto di aumentare lo staff, attualmente sottodimensionato. All’inizio poteva anche essere sensato, perché la mole di lavoro era differente e il gruppo di atleti numericamente inferiore. Oggi invece la nostra è una disciplina complessa e completa, sono necessari maestria tecnica e grandi requisiti acrobatici – come le basi di allenamento sul trampolino e di ginnastica artistica –, c’è la preparazione fisica sempre più centrale e c’è l’aspetto mentale, che secondo me è ancora sottovalutato. Facevo spesso il paragone con Roger Federer: se lui incappava in una giornata storta, mandava le palline fuori di due centimetri e perdeva la partita, ma la cosa finiva lì. Se invece ciò accade a uno snowboarder, questi rischia di rompersi l’osso del collo. Per cui ci vuole un enorme lavoro mentale per superare questa paura e soprattutto per eseguire queste manovre acrobatiche sempre più complesse. Non è però solo la Federazione svizzera ad avere problemi di numeri e qualifiche nello staff, tutte le Nazionali hanno difficoltà a trovare i mezzi finanziari appropriati per sostenere questa disciplina.

Nel comunicato in cui Swiss Ski annunciava le sue dimissioni, spiegava anche che rimarrà vicino alla Federazione e al mondo dello snowboard. Ha già deciso in quali funzioni?

Prima di tutto, sono qua a Saas-Fee per aiutare la squadra nel campo d’allenamento e nella preparazione, abbiamo avuto la fortuna di poter includere a tempo parziale nello staff Iouri Podladtchikov, vincitore dell’halfpipe a Sochi. Proseguiremo così anche nel mese di novembre, durante il quale introdurrò Patrick Cinca nella squadra, parlando con lui di pregi e difetti di tutti gli atleti e gli trasmetterò le informazioni sul mio metodo di lavoro con la squadra, che lui potrà assorbire, evolvere o rifare. Per il seguito ho già un paio di contratti di lavoro con atleti privati, che sto già seguendo. Una è l’esperta spagnola Queralt Castellet, seconda alle Olimpiadi di Pechino, rimasta senza allenatore, ma che ha ancora un bel potenziale da esprimere. Poi seguo un giovane italo-americano, Alessandro Barbieri, che cercava un supporto più professionale. È uno dei ragazzi più talentuosi al mondo e quindi anche tra i più difficili da allenare in quanto ha requisiti più alti. Inoltre vorrei mettere a disposizione la mia esperienza per realizzare un’accademia di sci e snowboard freestyle svizzera, che possa dare un supporto su tutti i fronti agli sportivi.

In questi quasi vent’anni come si è evoluta la disciplina e quali prospettive ha?

Gli sport freestyle in generale hanno vissuto una grande evoluzione, veloce e arrivata molto in alto. In seno alla Nazionale svizzera ho avuto la fortuna di avere degli atleti che hanno aiutato a far crescere il movimento, con dei risultati incredibili. Ai tempi in cui gli americani dominavano, grazie a personaggi come Shaun White, noi eravamo lì a dare loro battaglia. Grazie alla nostra mentalità e ad allenatori come Bruni, abbiamo spinto al massimo, creando strutture di qualità, per le quali attualmente tutte le Nazionali vengono ad allenarsi in Svizzera, a Saas-Fee o a Laax, considerato il miglior resort mondiale per il freestyle. Spero che questa ragione del nostro successo venga coltivata anche una volta conclusa la mia era. Sarà inoltre mia premura mantenere i rapporti saldi con queste stazioni. A Corvatsch, per esempio, dove si terranno i Mondiali nel 2025, sto aiutando a realizzare dei campi specializzati per tutti gli aspetti tecnici della disciplina freestyle.

Il futuro della nostra Nazionale, invece, come lo vede?

Una constatazione è che le Nazionali in generale stiano arrivando al limite della loro possibilità di offrire un supporto professionale agli atleti. Ciò per il discorso di prima, che i fattori da allenare sono molteplici e necessitano tutti di figure professioniste. Per esempio per eseguire un “triplo cork 1400”, come quello grazie a cui Ayumu Hirano ha vinto le ultime Olimpiadi, ci vuole l’halfpipe perfetto, ci vuole un allenatore di trampolino che crei le basi per destreggiarsi con l’acrobatica a secco, poi va allenata la sciata e un buon esercizio è lo skateboard, in particolare la rampa verticale. Poi ci sono l’aspetto fisico e mentale, per cui le Federazioni non hanno i finanziamenti per gestire un tale staff e a noi allenatori tocca sopperire a tutti questi fattori. Infatti quasi tutte le medaglie delle ultime Olimpiadi sono andate a membri di team privati e credo che in futuro si andrà sempre più in questa direzione. Per quanto riguarda la Federazione svizzera, nei vari compiti da svolgere, ha soprattutto lo sci alpino da sostenere, che necessita numerose risorse, è uno sport con una grande tradizione ed è normale che Swiss Ski ci si dedichi maggiormente, quindi ovviamente, il freestyle rimane sottodimensionato.

Quali sono, infine, il suo ricordo più bello di questi anni e un rimpianto o una delusione che le rimangono?

Il ricordo più bello è difficile da indicare, perché ho avuto la possibilità di avere degli atleti incredibili come Podladtchikov, Markus Keller, Christian Haller, Pat Burgener o Jan Scherrer, che mi hanno dato molto e a cui ho cercato di dare molto. Con loro ci siamo tolti delle soddisfazioni enormi. Il ricordo più bello è lo spirito di squadra che si è creato, non erano solo atleti che regalavano gioie per le vittorie, con le quali io peraltro non mi sono mai identificato, ma hanno saputo creare un senso di squadra in uno sport individuale. Per esempio era infatti mia abitudine affittare degli appartamenti, anziché alloggiare in albergo, per condurre una vita comunitaria, per cui i ricordi belli sono moltissimi e principalmente i momenti sociali, sebbene anche le medaglie olimpiche e mondiali siano delle grandissime soddisfazioni. Di rammarichi invece non penso di averne. La mia filosofia è sempre stata quella che l’atleta è chiamato a dare tutto e di più e io devo fare lo stesso. Ci abbiamo provato e alla fine siamo veramente fieri di aver rappresentato la Svizzera nella miglior maniera in cui abbiamo potuto, con un grandissimo lavoro. In un certo senso abbiamo creato la storia del freestyle elvetico, siamo stati i primi a utilizzare i cuscini o i grandi trampolini, abbiamo inserito la danza classica nei nostri allenamenti, quindi non so se si sarebbe potuto fare qualcosa diversamente, anche se si può sempre fare meglio. Ciò che forse mi aspetto ora è che la Federazione faccia tesoro di quanto intrapreso finora e continui a migliorare.

Infine una frase per riassumere la sua carriera?

Nel corso della mia carriera di allenatore, da parte mia si è sviluppato il seguente motto: ‘Una carriera sportiva d’élite è un’opportunità per un grande sviluppo personale, per prendere coscienza del senso della vita, e quindi migliorare sé stessi sotto tutti gli aspetti’. Con questo motto e con grande piacere, vorrei trasmettere il mio know-how e offrire l’enorme esperienza acquisita in molti anni di competizioni di livello mondiale, per le sfide future nel mondo dello snowboard freestyle.

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