FOOTBALL

Dall’altare alla polvere per una fidanzata mai esistita

Dieci anni fa uno dei primi clamorosi casi di catfishing. Manti Te’o da eroe a zimbello in soli quattro mesi

11 novembre 2022
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Nel settembre 2012 un’intera nazione si era innamorata di lui, a gennaio era diventato lo zimbello degli Stati Uniti, accusato senza troppi complimenti di aver montato una storia strappalacrime al solo scopo di farsi pubblicità. E pure chi, a fatica, riusciva a credere alla sua buona fede, lo considerava quanto meno un inetto. Dall’altare alla polvere nel giro di quattro mesi, questa è l’incredibile storia di Manti Te’o, linebacker dell’università di Notre Dame, promesso a una stellare carriera nella Nfl: di lui gli appassionati di football si ricorderanno non tanto per essere stato a un passo dal vincere l’Heisman Trophy (terzo classificato) e il campionato Ncaa, quanto per essere diventato una delle prime vittime di catfishing. Stampa e opinione pubblica si erano gettate a pesce su una storia troppo incredibile e succulenta per essere vera, una storia che aveva catalizzato il morboso interesse di un’intera nazione, tanto da far dire a un commentatore televisivo che Manti Te’o era diventato il miglior amico di Lance Armstrong, la cui intervista-confessione con Oprah Winfrey, in onda proprio in quei giorni e nella quale ammetteva di aver vinto i suoi sette Tour de France grazie al doping, aveva sùbito perso l’interesse degli statunitensi, attratti dall’inverosimile vicenda della "fidanzata mai esistita", come Netflix ha intitolato un recente documentario con le confessioni dei protagonisti della vicenda.

La fidanzata mai esistita aveva un nome. Anzi, due: Lennay Kekua e Ronaiah Tuiasosopo. Il primo (falso) utilizzato dal secondo (vero) per imbastire una storia che ha fatto conoscere al mondo intero il catfishing, vale a dire la creazione di false identità sui social media allo scopo di raggirare ignare vittime. Uno scandalo costato a Manti Te’o – considerato un prospetto generazionale – un pacco di milioni nel draft 2013 e una brillante carriera nella Nfl.

Ma cos’era successo tra settembre 2012 e gennaio 2013 per far cadere dall’altare nella polvere un ragazzo semplice, sensibile, religioso e altruista? Il 12 settembre Manti aveva ricevuto la notizia della morte della nonna e poche ore dopo, quella della scomparsa della fidanzata. Nonostante il doppio lutto, il 15 settembre era sceso in campo contro Michigan State e aveva disputato la sua migliore prestazione con i Fighting Irish, trascinandoli letteralmente alla vittoria. Nelle interviste post-partita, aveva accennato al momento difficile che stava vivendo, la notizia era diventata virale e in un’America facile a innamorarsi di chi sa trovare dentro di sé la forza per superare le avversità (a maggior ragione se toccano la sfera dei sentimenti familiari), era diventato suo malgrado un eroe, il ragazzo che tutte le mamme avrebbero voluto far sposare alle loro figlie. Tuttavia, a dicembre un’inchiesta del portale sportivo Deadspin aveva rivelato quella che sarebbe scoppiata come una bomba nel mondo dello sport Ncaa: Lenny Kekua, la fidanzata di Manti Te’o, non solo non era morta, ma non era nemmeno mai esistita. Apriti cielo! In un batter d’occhio un’opinione pubblica sentitasi tradita aveva scaricato Manti, il quale si era ritrovato quasi senza accorgersene in un vortice composto da un lato da chi lo prendeva per i fondelli e lo derideva, dall’altro da chi lo accusava apertamente di essere all’origine di tutta la sceneggiata.

Nella finale del campionato Ncaa tra Notre Dame e Alabama, in programma il 7 gennaio 2013, pochi giorni dopo lo scoppio dello scandalo, Te’o aveva disputato la sua peggiore prestazione con l’università di South Bend (Indiana), gli Irish erano stati seccamente sconfitti (42-14) e le quotazioni del giocatore di origine polinesiana nel draft 2013 erano drammaticamente precipitate (San Diego lo avrebbe poi scelto soltanto al secondo round).

Ma chi erano Lennay Kekua e Ronaiah Tuiasosopo e quali erano state le responsabilità di Manti Te’o nell’allestimento della clamorosa bufala?

Ripercorriamo le tappe principali. Te’o avrebbe voluto giocare per Usc (Università della California del Sud), ma per ragioni prettamente sportive decide di accettare la corte di Notre Dame. Ma è difficile che un 18.enne attaccato a famiglia e alle origini hawaiiane possa trovarsi bene nel gelo dell’Indiana. Così, nel 2009 risponde su Facebook a una richiesta di amicizia da parte di Lennay Kekua, studentessa a Stanford (California) e membro della squadra di volley. Ne nasce un’amicizia online, i due iniziano a sentirsi tutti i giorni, vuoi per messaggio, vuoi per telefono. Lennay gli invia più di una sua foto, ma quando Manti propone un incontro reale, lei in un modo o nell’altro riesce a sviare il discorso. La relazione a distanza si intensifica nel corso del 2011 e nel mese d’aprile dell’anno seguente Te’o è pronto a volare in California per incontrare quella che considera la sua fidanzata. Tuttavia, pochi giorni prima della partenza, una telefonata di Noa, fratello di Lennay, lo avverte che la ragazza è rimasta vittima di un incidente stradale ed è ricoverata a Los Angeles. Noa lo prega di non prendere il volo in quanto Lennay non desidera farsi vedere in un letto d’ospedale.

Due mesi più tardi (giugno 2012), la stessa Kekua rivela al suo ragazzo che a seguito degli esami medici effettuati dopo l’incidente stradale le è stata diagnosticata la leucemia. Il 12 settembre, nel pieno della stagione Ncaa, Te’o apprende della morte della nonna (avvenuta il giorno prima). Poche ore dopo, una telefonata di Noa Kekua lo informa del decesso di Lennay, con cui Manti aveva parlato per l’ultima volta la sera precedente.

A inizio dicembre, finalmente, qualcuno inizia a mettere la pulce nell’orecchio di Manti. Un tweet di tale JR Vaosa, 28.enne californiano, lo avvisa di come quattro anni prima un suo cugino fosse rimasto invischiato in una falsa relazione online con Kekua, e lo mette in guardia da una possibile truffa. Per il giocatore, in piena corsa per conquistare l’Heisman Trophy, il colpo di grazia giunge appena due giorni più tardi, quando riceve una telefonata che lo sconvolge: all’altro capo del telefono, Lennay gli comunica di non essere morta, ma di essersi dovuta eclissare per sfuggire a dei trafficanti di droga. A questo punto, per quanto confuso, Te’o mangia la foglia e decide di confidarsi dapprima con la famiglia (24 dicembre), poi con l’università (26 dicembre). E a South Bend lo consigliano di non rivelare nulla, almeno per il momento. La bomba scoppia il 16 gennaio, quando Ronaiah Tuiasosopo telefona a Te’o e confessa di essere lui la persona dietro al profilo di Lennay Kekua. Ed era sempre lui a dare voce al fratello Noa e a tutti gli altri parenti della fantomatica Lennay con i quali Te’o era entrato in contatto. Poche ore dopo, il portale Deadspin pubblica l’intera storia e in un batter d’occhio Manti Te’o si trasforma da eroe nazionale in bieco truffatore, nonostante Notre Dame rassicuri che dai risultati di un’inchiesta interna non risultano responsabilità da parte del giocatore, il quale deve essere considerato vittima di una tremenda bufala.

Ma cosa ha spinto Tuiasosopo a ideare e portare avanti per anni una vita parallela sulle spalle di un ragazzo che nemmeno conosceva di persona (i due si erano visti una sola volta, nei panni di "star" e "tifoso" dopo una partita degli Irish a Los Angeles contro Usc), ma soltanto in quanto "cugino" di Lennay? Stando a quanto lui stesso afferma nel documentario di Netflix (nel frattempo Ronaiah, transgender, è diventato Naya), tutto era iniziato per gioco, un modo come un altro di evadere dalla realtà. Poi, però, si era lasciato prendere la mano, fino a costruirsi un mondo parallelo, all’interno del quale si sentiva davvero Lennay. E non era più riuscito a uscirne. E le foto della presunta Lennay? Rubate da internet: appartenevano a Diane O’Meara, ragazza di origini samoane, ex compagna di liceo di Ronaiah. Addirittura, quando Te’o, colpito dall’improvvisa "resurrezione" della fidanzata le aveva chiesto di spedirgli una foto per dimostrare che fosse davvero viva, Tuiasosopo era riuscito a farsi mandare da O’Maera una fotografia con tanto di data, a favore di quella che le era stata venduta come un’azione di beneficenza.

Cosa ne è stato dei protagonisti di questa insolita vicenda? Appena calmatesi le acque, Ronaiah Tuiasosopo si è trasferito nelle Samoa americane, dove è entrato in contatto con la comunità "Fa’afafine", un gruppo di samoani di genere non binario, con le quali ha riconosciuto la sua identità transessuale. Oggi vive a Seattle, ha accorciato il suo nome in Naya e mantiene un basso profilo.

Manti Te’o, scelto nel secondo turno del draft 2013 dagli allora San Diego Chargers, dopo quattro stagioni in California (costellate di infortuni, ha giocato 38 partite), ha vestito per tre anni la maglia dei New Orleans Saints. Attualmente è free agent. Nell’agosto 2020 ha spostato Jovi Nicole Engbino e nel 2021 è diventato padre di Hiromi.

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