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Lea, Ajla e gli ultimi passi prima del (grande) salto

La 31enne Sprunger, che chiuderà la carriera a settembre con il Galà, si racconta: il cambio di disciplina, i titoli europei e il rapporto con la ticinese

16 luglio 2021
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Lea Sprunger non è una che ha paura dei grandi salti. D’altronde, nella sua carriera più volte la vodese ha avuto il coraggio di intraprendere praticamente al buio una nuova strada, quando avrebbe tranquillamente potuto proseguire su quella già tracciata, sicura e destinata comunque a portarla lontano. Lo ha fatto ad esempio quando nel 2015 ha deciso di passare dai 200 metri piani ai 400 ostacoli, o ancora nel 2019 quando ha scelto di seguire il suo allenatore Laurent Meuwly in Olanda. Un’intraprendenza che si è rivelata pagante e che l’ha portata – forte in particolare di un titolo europeo conquistato proprio nella sua nuova disciplina nel 2018 (e bissato nei 400 m indoor l'anno seguente), nonché del podio sfiorato ai Mondiali di Doha 2019 (quarta) – a essere una delle principali protagoniste dell’atletica rossocrociata dell’ultimo decennio (e non solo).

La ragazza di Gingins (comune di poco più di 1000 abitanti del distretto di Nyon) è però arrivata a un altro crocevia fondamentale della sua vita, dove l’attende il salto forse più difficile, l’ostacolo più alto: quella 2021 sarà infatti l’ultima stagione agonistica di una carriera che secondo i piani si chiuderà il prossimo 14 settembre al Galà dei Castelli di Bellinzona.

«Mi fa sempre un po’ strano pensarci, ma devo ammettere che sto piuttosto bene, perché so che è la decisione giusta – ci confida convinta guardandoci con i suoi occhi color ghiaccio e con un sorriso pieno di consapevolezza la 31enne vodese, che si appresta a vivere la sua terza Olimpiade (sabato 31 luglio le batterie dei 400 m h, lunedì 2 le eventuali semifinali e mercoledì 4 la finale) –. Sento di aver dato quello che avevo da dare e di aver vissuto quanto questo sport poteva farmi vivere da atleta. Inoltre ho voglia di avere più tempo ed energie da investire nella mia vita privata. Di conseguenza, voglio godermi appieno quest’ultima stagione, nella quale evidentemente c’è un traguardo importante come i Giochi di Tokyo, dove spero evidentemente di fare bene, ma dove a prescindere dal risultato l’obiettivo principale sarà soprattutto quello di lasciare il Giappone senza rimpianti e di chiudere così allo stesso modo una carriera che mi ha dato tante soddisfazioni, approfittando di ogni gara e di ogni campionato. Voglio davvero godermela».

Questo non significa però affrontare senza ambizioni e senza lo stimolo di migliorare ulteriormente un'annata nella quale non è ancora riuscita a decollare, visto che non è ancora riuscita a correre sotto la soglia dei 55 secondi, performance sempre riuscitale nelle cinque precedenti stagioni (55"16 il suo miglior tempo dell'anno, ben lontano dal personale di 54”06 che gli era valso il quarto posto ai Mondiali di Doha 2019)... «Voglio comunque riuscire a dimostrare ancora qualcosa. Per questo abbiamo lavorato ancora su delle novità, nonostante non sia certo facile quando hai così tanta esperienza e tante corse alle spalle. Ad esempio ho cercato, a livello tecnico, di rendere più fluido il ritmo tra gli ostacoli, perché spesso dopo metà corsa tendevo a effettuare delle pause prima di saltare e questo mi faceva perdere tempo. Peccato che a causa di qualche infortunio di troppo ho dovuto innanzitutto lavorare per ritrovare la mia velocità di base».

Due decisioni rischiose ma fondamentali

Una velocità che l’ha portata sin da giovanissima a primeggiare nello sprint e in particolare nei 200 m, prima della già citata decisione di cambiare completamente disciplina per tentare di andare ancora più lontano… «Fortunatamente non ho grandi rimpianti e penso che rifarei nello stesso modo la maggior parte delle cose, a cominciare dalle decisioni di cambiare disciplina e di andare in Olanda, scelte complicate che alla fine però hanno dato i loro frutti. In particolare quella di passare dai 200 m ai 400 ostacoli è stata una delle decisioni più dure e anche più rischiose da prendere. Non avevo alcuna idea di cosa sarei stata in grado di fare nella nuova disciplina, ma chi mi stava attorno diceva che in realtà quello era l’ambito nel quale avrei potuto esprimermi al meglio. Inoltre nei 200 mi sentivo un po’ frustrata dalla partenza, in cui perdevo sempre troppo tempo impossibile poi da recuperare. Così ho preso coraggio, mi sono lanciata ed è stata la scelta vincente».

Una decisione che ha definitivamente fatto decollare una carriera costellata più di alti che di bassi… «Di momenti belli ne ho vissuti davvero tanti, ma quello più intenso in assoluto è senza dubbio il titolo europeo conquistato a Berlino nel 2018 (sempre nei 400 m ostacoli, che due anni prima le avevano già regalato il bronzo continentale ad Amsterdam, ndr). Chiaramente nella mia carriera ci sono state pure delusioni e momenti difficili che cancellerei volentieri, anche se penso che è pure grazie a queste difficoltà che sono cresciuta diventando l’atleta che sono oggi. Tra i ricordi più dolorosi ci sono indubbiamente la finale della staffetta 4x100 m a Zurigo (nel 2014 alla rassegna continentale Mujinga Kambundji aveva perso il testimone in partenza infrangendo il sogno di una medaglia davanti al pubblico di casa, ndr) e gli Europei indoor di Belgrado 2017. A quest'ultimo appuntamento avrei dovuto stravincere, ma qualcosa non funzionò e chiusi quinta, fu davvero un colpo duro che feci fatica a riassorbire, ma che mi insegnò molto, non solo come atleta».

Già perché prima ancora di essere una sportiva Lea è una persona, che oltretutto presto dovrà completamente (o quasi) reinventarsi rispetto a quello che ha sempre fatto, lei che ha comunque in tasca un Bachelor in management e comunicazione… «L’atletica è stata una scuola di vita per me, un mondo che mi ha obbligata a imparare a cavarmela da sola, lontano dalla famiglia e dagli affetti, a parlare più lingue, a conoscere il mio corpo e a spingermi oltre i miei limiti. E tutto così rapidamente che da una parte può fare paura, ma dall’altra ti fa crescere molto e ti insegna cose che ti serviranno per tutta la vita. Non nascondo che il post carriera un po’ mi spaventa, ma credo che sia normale non solo per gli sportivi, bensì per ogni persona che cambia vita abbandonando quello che ha fatto per molti anni. Non sarà evidente, ma per il momento sono ancora piuttosto tranquilla visto che ho ancora una stagione agonistica sulla quale concentrarmi. E poi sono certa che una volta appese le scarpette al chiodo le cose andranno in maniera piuttosto naturale, ho fiducia nelle mie capacità e ho già un paio di idee. Da una parte mi piacerebbe rimanere nel mondo dell’atletica e dall’altra vorrei fare qualcosa assieme a mia sorella (Ellen, ex atleta, ndr), magari perché no unendo le due cose, abbiamo sempre voluto ridare a questo sport quello che lui ha dato a noi. Ho un Bachelor in management e comunicazione e da cinque anni organizzo una corsa nella mia regione, per cui conosco un po’ il mondo degli eventi anche da questo punto di vista e probabilmente è in quella direzione che mi muoverò inizialmente».

Ticino uguale Galà e Del Ponte: ‘Io e lei ci capiamo al volo’

È un caso che Lea Sprunger dovrebbe chiudere la sua carriera in Ticino? Forse sì, forse no, ad ogni modo con il nostro cantone la “Ginginoise” ha ormai un rapporto molto speciale… «Il Ticino per me significa soprattutto due cose: il Galà dei Castelli e Ajla Del Ponte. Partecipare al Galà è sempre un grande piacere, è una manifestazione unica del suo genere per la qualità che offre pur rimanendo in un contesto relativamente ridotto e soprattutto molto famigliare. L’appuntamento all’ombra dei castelli per il momento è l’unica occasione che mi porta regolarmente a Sud delle Alpi ma questo non significa che non apprezzi il Ticino, anzi è una parte della Svizzera che mi piace molto ed è sempre un piacere ritornarci, come ad esempio in occasione del campo di allenamento con le staffette (lo scorso aprile, ndr). Spesso poi il tempo è bello e non parlando italiano, mi sento sempre un po’ come se fossi in vacanza. Decisamente il Ticino è una destinazione che una volta chiusa la mia carriera vorrò visitare meglio. Senza contare che a legarmi con questo cantone c’è mio cognato che è proprio ticinese, oltre come detto Ajla».

Già, Ajla, conosciuta quando la valmaggese poco più che adolescente nel 2014 era entrata nel giro della staffetta 4x100 allora allenata da Meuwly, tecnico che poi entrambe hanno seguito in Olanda… «La differenza d’età (la ticinese è circa 6 anni e 4 mesi più giovane della vodese) forse ha fatto sì che lei si trovasse più a suo agio con me in quanto vedeva nella mia figura una sorta di sorella maggiore, ma oltre a questo abbiamo molto altro in comune, come ad esempio la indole calma e l’educazione, anche se poi entrambe quando necessario tiriamo fuori il carattere. Dal 2017 stiamo praticamente sempre insieme di camera ai grandi appuntamenti o ai campi di allenamento. Chiaramente poi da quando ci alleniamo assieme in Olanda il nostro rapporto è evoluto, ci siamo avvicinate ulteriormente e siamo diventate molto più che semplici compagne di allenamento, è nata una bella e profonda amicizia che va oltre lo sport. Nel 2020 abbiamo pure diviso l’appartamento, ma a livello logistico era un po’ complicato affittare qualcosa in pianta stabile e così, visto anche che spesso le date in cui ci troviamo in Olanda non coincidono, abbiamo deciso di prendere qualcosa singolarmente. Cerchiamo però sempre di non essere troppo lontane, in modo da poter passare del tempo insieme e anche quando non possiamo farlo, siamo comunque sempre in contatto a distanza. Sì, tra noi è nato davvero qualcosa di bello».

Un aspetto quello della condivisione fondamentale anche in uno sport prettamente individuale come l’atletica… «È così, perché si fa comunque parte di una nazionale o di un gruppo di allenamento, non si è quasi mai soli in e la presenza dei compagni, oltre che degli allenatori, spesso è necessaria per progredire grazie proprio anche al confronto con gli altri. Inoltre c’è tutta la parte legata al poter condividere – in particolare nei grandi appuntamenti – la tensione, le emozioni e le sensazioni, in modo da non tenere tutto dentro. Con Ajla ad esempio come detto ci conosciamo e ci comprendiamo, io capisco quando ha bisogno di calma o quando invece le serve parlare. E lo stesso vale per lei nei miei confronti. Avere qualcuno così accanto è fondamentale nella vita di uno sportivo, in cui si è spesso lontani da casa. Ti dà la stabilità necessaria per affrontare ogni giornata, belle o brutte che siano».

L’atleta tesserata per il Cova Nyon non sarà quindi stata sorpresa dall’esplosione della sprinter di casa nostra… «Vedendola quasi tutti i giorni in allenamento, effettivamente no, non sono per nulla sorpresa dei suoi progressi. So quanta dedizione e impegno mette in quello che fa e in questi ultimi anni l’ho anche vista crescere molto dal punto di vista mentale, ora è molto più sicura di sé. Certo a Torun (dove la ticinese si è laureata campionessa d’europa indoor sui 60 m, ndr) ha fatto davvero qualcosa di incredibile, mi aspettavo che vincesse, ma non in quel modo, è stata davvero una dimostrazione di forza sotto tutti i punti di vista. E il bello è che può crescere ancora tanto, ne sono certa».

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