CICLISMO

Si è spento Gianni Mura, cantore dello sport

Storica penna che raccontò le magie del Tour de France, ma non solo, si è spento ad Ancona all'età di 74 anni, stroncato da un improvviso attacco cardiaco

21 marzo 2020
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Era un Maestro per tutti coloro che fanno il suo stesso mestiere. Stroncato in mattinata, all'età di 74 anni, da un improvviso attacco cardiaco quando si trovava all'ospedale di Ancona, Gianni Mura aveva raccolto il testimone di sommo narratore di sport da un altro che, come lui aveva scritto pagine indelebili e aveva il suo stesso nome: Gianni Brera. Con il quale Mura condivideva anche la passione per la buona tavola e per il vino, inteso innanzitutto come cultura da studiare e poi spiegare. Non a caso, firmava anche rubriche enogastronomiche. Imperdibile, per gli amanti del genere, il suo libro "Non c'è gusto', un tour nella società italiana delle trattorie, spina dorsale di questo Paese", ovviamente riferito all'Italia. Nessuno come lui ha raccontato il ciclismo, in particolare il Tour de France (la prima volta lo seguì che aveva appena 21 anni), e chi amava questo sport non poteva proprio fare a meno di leggerlo. E proprio alla Grande Boucle era ambientato uno dei suoi romanzi, "Giallo su giallo", scritto nel 2007.

Conversatore piacevole e mai banale, sapeva anche molto di calcio ma non faceva mai trasparire la propria passione, così come dovrebbe essere. Ma il mondo del pallone non gli piaceva più, perché i giocatori di oggi sono inaccessibili «e se li avvicini ti dicono tre banalità». E non gli passava il magone per il fatto che il gioco fosse diventato troppo calcolatore e attendista, «per cui fare un dribbling è quasi una colpa».

Celebri anche certe sue frasi come «lo sport avrà tanti difetti, ma a differenza della vita nello sport non basta sembrare, bisogna essere». O anche «diceva un allenatore argentino: metto in campo benissimo i giocatori, il guaio è che poi si muovono». E ancora: «prima che in bravi o cattivi, i giornalisti si distinguono in: con la gastrite o senza». Le ritirava fuori nei momenti di pausa dal lavoro, con quel sorriso da persona mite qual era. Il calcio di oggi non gli piaceva più, «perché i giocatori di oggi sono inavvicinabili, e se li avvicini ti dicono tre banalità». Ma continuava a scriverne con passione e competenza e con quel tocco da fuoriclasse della tastiera. Però non gli passava il magone per il fatto che il gioco fosse diventato troppo calcolatore e attendista «per cui fare un dribbling è quasi una colpa».

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