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Nel parco di Gantrisch il punto più buio della Svizzera

Il prestigioso ‘Dark Sky Park’ approda nel nostro Paese, mentre nel Bioparco di Roma la tigre Kala muove i primi passi

La Via Lattea, in moltissimi luoghi in Svizzera è oramai un ricordo, ma è ancora visibile a occhio nudo nel Parco (Parco Naturale di Gantrisch/Marianne Wittwer)

Il prestigioso ‘Dark Sky Park’ approda nel nostro Paese, mentre nel Bioparco di Roma la tigre Kala muove i primi passi

10 marzo 2024
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Anche la Svizzera ha il suo ‘punto più buio’. Detto così – è vero – può sollevare qualche preoccupazione, ma niente paura: l'oscurità è una preziosa alleata, perché fa bene all'ambiente, ci aiuta a conciliare meglio il sonno e ci permette di osservare le meraviglie dell'universo. Nella puntata di ‘Qualcosa di buono’ ampio spazio anche alle belle notizie provenienti dal regno animale. Parleremo di una legge per vietare la detenzione degli elefanti in cattività e di una nascita (e crescita) eccezionale avvenuta nel Bioparco di Roma. E poi ancora racconteremo di una donazione che permetterà a molti giovani – provenienti dalle classi meno abbienti – di poter continuare gli studi.

E a Gantrisch uscimmo a riveder le stelle

Chissà se anche ai responsabili del Parco naturale regionale del Gantrisch è venuto in mente Dante Alighieri e il celebre verso della Divina Commedia quando si sono visti recapitare il marchio ‘Dark Sky Park’ per la zona buia situata nella parte meridionale della riserva protetta. Il Parco, che si trova in un triangolo di territorio tra Berna, Friburgo e Thun, è prima e unica regione in Svizzera a ricevere tale riconoscimento, assegnato dall'Ong DarkSky International.

A comunicare l'importante traguardo, la costola elvetica dell'ente – DarkSky Switzerland – tramite un comunicato pubblicato mercoledì (6 marzo): "Oggi è un momento speciale. Abbiamo accompagnato il parco naturale di Gantrisch nel percorso verso l’ottenimento del marchio. Siamo orgogliosi".

A fargli eco c’è pure Lydia Plüss, direttrice dell’associazione per la promozione della regione di Gantrisch, che non nasconde il suo entusiasmo: "Questa distinzione, la prima del suo genere in Svizzera, è la prova del carattere unico della nostra regione e premia l’impegno di tutti coloro che sono coinvolti nella conservazione del paesaggio notturno".

Conservazione del paesaggio notturno. Ecco, ma perché impegnarsi in questa causa? Facciamo un passo indietro e iniziamo da un altro concetto: inquinamento. Si faccia avanti chi, leggendo questa parola, non l'ha subito accostata a termini come ‘atmosferico’, ‘smog’ e ‘gas’, oppure a immagini, come un ruscello sporcato da qualche sostanza tossica o a un prato contaminato. Talvolta però, l'inquinamento non interessa solo quello che respiriamo o ingeriamo. Possiamo anche esporre le nostre orecchie a rumori forti e continui, come pure essere sommersi da un'eccessiva luce artificiale.

NASA e NOAAIl pianeta Terra di notte

Quest'ultimo fenomeno si chiama inquinamento luminoso (dall'inglese "light pollution") ed è lo schiarimento – tramite sorgenti luminose non naturali – del cielo notturno. Certo, osservare una città che pulsa di vita, pure nelle ore più buie, ha il suo fascino ma ha anche il suo prezzo, con conseguenze che incidono sulla vita dell'uomo – sia da un punto di vista ambientale ma anche scientifico, culturale ed economico – e della fauna. Le "luci spazzatura" (come ben mostrano le immagini satellitari qui sopra) interessano ormai l'intero globo, in particolare le aree industrializzate e densamente popolate.

Dark-Sky SwitzerlandLa Svizzera di notte

Anche la Svizzera ne soffre, più di quanto si possa credere. Infatti, se sulle creste delle montagne riusciamo ancora a stupirci delle meraviglie del cosmo, sull’Altipiano e nelle agglomerazioni cittadine si fa sempre più fatica a contar le stelle. In Ticino particolarmente colpito dall'inquinamento luminoso è il Sottoceneri, ma anche le zone urbane del Locarnese e del Bellinzonese non se la passano meglio (a differenza invece delle vallate).

Ma ora, grazie al Parco naturale regionale del Gantrisch, uno spiraglio di luce – o sarebbe meglio dire ‘di oscurità’ – c’è e si spera che possa guidare altre realtà elvetiche in questo cambio di rotta.

Lunga vita alla regina... tigre!

Ha solo tre mesi ma rappresenta già una speranza per il futuro della sua specie. Il suo nome è Kala ed è una cucciola di tigre di Sumatra. La piccola, venuta al mondo al Bioparco di Roma, ha fatto giovedì (7 marzo) la sua prima apparizione in pubblico. Affiancata dai genitori, la tigrotta ha iniziato a esplorare ogni angolo dell’exhibit esterno. Prima di allora Kala – il cui nome deriva dall'unione di quello dei genitori, Tila e Kalish – ha vissuto in una zona protetta dove, grazie alle telecamere interne, è stato possibile riprendere le fasi di crescita, senza disturbare la famiglia di felini: dai controlli veterinari, alle coccole dei genitori, alle pesature.

Bioparco di RomaSua maestà Kala

Una lieta notizia di grande rilevanza scientifica perché la tigre di Sumatra, che vive nelle foreste tropicali dell’isola indonesiana, costituisce una delle sei sottospecie viventi maggiormente a rischio di estinzione, poiché cacciate dai bracconieri o private dei propri habitat naturali: basti pensare che allo stato brado, purtroppo, ne siano rimaste circa 500.

“La nascita di Kala è molto importante per molteplici ragioni – sottolinea nel comunicato stampa la presidente della Fondazione Bioparco di Roma, la professoressa Paola Palanza –, la riproduzione è un segnale di benessere degli animali e ne arricchisce l’esperienza sociale; da etologa ho inoltre osservato un bel comportamento di cura e di incoraggiamento all’esplorazione da parte materna e di interazione di gioco, anche con il padre. Il Bioparco partecipa attivamente ai programmi internazionali di tutela della specie, sia attraverso progetti di conservazione in natura (in-situ) sia contribuendo al mantenimento della sottospecie in cattività”.

Ti ricordi che sapore ha la libertà?

Se non sfruttati nell'industria come "gru in carne e ossa" (e a basso costo) vengono usati dai santuari locali per intrattenere e far felici i turisti stranieri; per non parlare poi delle compagnie circensi che li trasformano in veri e propri fenomeni da baraccone. In Bangladesh dozzine di elefanti cresciuti in cattività hanno vissuto in contesti degradanti e poco rispettosi della loro natura e delle loro necessità. Da ora in poi però non sarà più così. A fine febbraio, l'Alta Corte di Dacca ha emesso una decisione storica che cambierà il destino di questi animali. I giudici hanno infatti imposto il divieto di ‘adozione’ di pachidermi selvatici: non saranno perciò più concessi permessi per allevarli e farli crescere in cattività.

Keystone‘Non siamo dei giocattoli’

La decisione è stato accolta con gioia dalle associazioni ambientaliste e in difesa della natura, poiché rappresenta un passo significativo verso la protezione di una specie minacciata. Minacciata sì perché, come affermano i dati forniti dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, si stima che nella nazione asiatica siano almeno un centinaio gli esemplari tenuti in cattività, a fronte di circa duecento lasciati liberi. E la popolazione di questi animali continua, drasticamente, a calare per via – ancora una volta – del bracconaggio e della distruzione di ettari di terreni e foreste per loro fondamentali.

Come se non bastasse, molti elefanti sono inoltre sottoposti a pratiche di addestramento brutali, conosciute con il nome “hadani”, che prevedono la separazione dei cuccioli dalle madri, mesi passati incatenati oppure ancora torture al fine di imporre l’apprendimento. Una problematica che non riguarda solo il Bangladesh, ma tutta l’Asia meridionale. Un piccolo grande passo quindi che si spera possa essere di esempio anche per il resto del continente.

KeystoneUn elefante su tre in Bangladesh vive in cattività

‘Cari studenti, l'università ve la pago io’

L’Albert Einstein College of Medicine dice addio alle tasse universitarie. La scuola, situata nel Bronx – ovvero uno dei cinque distretti più poveri della città di New York – sarà gratuita grazie a una donazione di un miliardo di dollari. La generosa benefattrice è la professoressa emerita di pediatria Ruth Gottesman, una donna di 93 anni che è rimasta vedova di un noto esperto di finanza di Wall Street.

A comunicare la bella notizia agli studenti e alle studentesse dell'Istituto il 26 febbraio scorso, la stessa docente che, fra le altre cose, è anche presidente del Consiglio di amministrazione della facoltà. Il video dell'annuncio, in cui è stata immortalata la gioia delle matricole, ha fatto il giro del web e delle testate online.

Come visto anche nella scorsa puntata della rubrica, in un Paese dove il divario fra ceti sociali è ampio ogni dollaro in più o in meno pesa e può far la differenza: non basta essere bravi a scuola per poter accedere con facilità a percorsi formativi superiori. La donazione, quindi, permetterà a tantissimi nuovi medici di avviare la propria carriera senza dover gestire l’enorme costo che viene solitamente richiesto.

L’Albert Einstein College è diventato così la seconda scuola di medicina senza tasse di New York. Nel 2018, la School of Medicine della New York University ha annunciato che avrebbe coperto i costi di iscrizione per tutti i suoi studenti.

Albert Einstein College of Medicine‘Grazie prof!’

La rubrica ‘Qualcosa di buono’ ha cadenza settimanale. Se però ti sei perso la puntata precedente, puoi recuperarla qui.