Curiosità

Per un giudice canadese il ‘pollice in su’ vale come firma

Un agricoltore aveva risposto con un'emoji alla foto del contratto d'acquisto ricevuta in chat: dovrà risarcire l'acquirente che attendeva invano la merce

(Keystone)
10 luglio 2023
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Basta un rapidissimo clic per inviare in una chat di WhatsApp la più classica delle emoji, il pollice alzato a significare "ok", a volte anche distrattamente o per tagliar corto in una conversazione noiosa. Ma attenzione: a volte, può costare caro. Ne sa qualcosa il protagonista della vicenda accaduta in Canada e raccontata dalla Reuters: Chris Achter, titolare di un'azienda agricola, aveva ricevuto nel 2021 sul telefonino, da una persona interessata a comprare i suoi cereali, la fotografia di un contratto di acquisto di un carico di 87 quintali di lino. L'uomo aveva risposto al messaggio con il "pollice su": l'acquirente aveva però interpretato quel simbolo come accettazione dei termini contrattuali, e, non ricevendo la merce a suo dire acquistata regolarmente, aveva fatto causa ad Achter. Il quale, a sua volta, sosteneva che il "pollice su" era semplicemente un modo rapido per dire di aver ricevuto la foto, e che si aspettava poi di ricevere e firmare un contratto per iscritto.

Ebbene, il giudice T.J. Keene della provincia canadese di Saskatchewan ha dato ragione all'acquirente, stabilendo che, sebbene non si tratti di un modo usuale di sottoscrivere un contratto, "in quelle circostanze resta valido" e il "pollice su" soddisfa il requisito della firma. L'uomo è stato dunque condannato a risarcire il danno per circa 60mila dollari.

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