Curiosità

Fortnite ‘crea dipendenza come la cocaina, anzi come l’eroina’

C’è chi ha giocato 7’700 ore in meno di due anni e chi, a 10 anni, è arrivato a spendere anche 600 dollari

Non è... un gioco
12 dicembre 2022
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A detta dei genitori – come riporta un interessante articolo pubblicato sul ‘Corriere della Sera’ – i figli hanno smesso di mangiare, dormire e lavarsi perché troppo presi da Fortnite. E avrebbero speso un fiume di denaro. «È come la cocaina», dicono. Anzi, «come l’eroina», aggiungono citando il paragone di uno specialista comportamentale britannico sul caso di una bimba di nove anni finita in psicoterapia nel 2018 per aver giocato troppo al videogame. Su questa base un giudice canadese ha accettato dopo tre anni una class action contro uno dei videogiochi più diffusi di sempre, un fenomeno esploso cinque anni fa che ancora oggi conta oltre 350 milioni di giocatori di cui 80 milioni attivi ogni mese.

Il successo di un ‘gioco’

La sua formula infatti è semplice ma efficace. Fortnite permette di partecipare a delle battle royale, «tutti contro tutti» anche di un centinaio di giocatori in cui si devono eliminare gli avversari fino a rimanere l’ultimo in vita. La portata globale permette di avere sempre a disposizione avversari connessi da tutto il mondo, copre ogni piattaforma, dallo smartphone alle console passando per il pc, ed è gratuito (ma con pagamenti che consentono personalizzazioni e finora hanno incassato 7,3 miliardi di dollari). Da ultimo, nonostante il tema, è non violento. Anzi, è coloratissimo, fumettoso e giocoso e ciò ne ha permesso il successo anche tra i più piccoli, che spesso lo giocano con i genitori.

Perché allora una causa? Era partita nel 2019 da un gruppo di genitori canadesi che avevano denunciato una «gravissima dipendenza da Fortnite» da parte dei figli. Dipendenza che si muove su due fronti. Da una parte c’è il tempo trascorso davanti allo schermo, con un ragazzino che sarebbe passato da poche ore a settimana fino a ben 7’700 ore in meno di due anni (per meglio comprendere un anno ha 8’760 ore). Dall’altra ci sono i soldi spesi e qui il caso esemplare è un decenne che è arrivato a sborsare quasi 600 dollari. C’è poi chi, giocando, diventa aggressivo o volgare, smette di mangiare o lavarsi.

La causa: accusa e difesa

A distanza di tre anni, il giudice ha stabilito che la class action contro lo sviluppatore del gioco Epic Games e la sua sussidiaria canadese non è «frivola o manifestamente infondata» e «che c’è una questione seria da discutere, supportata da accuse sufficienti e specifiche sull’esistenza di rischi o addirittura pericoli derivanti dall’uso di Fortnite». Adesso quindi si duellerà in aula. Su un fronte ecco l’accusa che si sta muovendo in una direzione precisa: paragona i videogiochi al tabacco e alle azioni intraprese contro i colossi delle sigarette. Una posizione avallata dal giudice. Non ha però concordato con l’affermazione dei genitori secondo cui Epic Games avrebbe creato deliberatamente dei meccanismi di dipendenza. Ciò però «non esclude la possibilità che il gioco crei effettivamente dipendenza né che i suoi ideatori e distributori lo sappiano», ha poi aggiunto.

La linea difensiva è desumibile da una dichiarazione di Epic Games riportata dalla Bbc. La società ha sottolineato di fornire «controlli parentali leader del settore che consentono ai genitori di supervisionare l’esperienza digitale dei propri figli». Ha aggiunto che «i genitori possono ricevere rapporti sul tempo di gioco che tengono traccia della quantità di tempo in cui il loro bambino gioca ogni settimana e poi richiedono il permesso dei genitori prima che vengano effettuati degli acquisti». Da ultimo, spiegano che hanno intenzione di «combattere in tribunale. Crediamo che le prove dimostreranno che questo caso è privo di fondamento».

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