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Gli zelanti comprimari del governo Draghi

Da Salvini a Berlusconi, da Grillo a Zingaretti, fino a Renzi. I nuovi/vecchi naufraghi si gettano nell’ultima scialuppa di salvataggio.

Da Conte a Draghi
(Keystone)
15 febbraio 2021
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Eccolo il ‘Draghi 1’, e probabilmente anche l’ultimo. Primo e ultimo se, come pronosticano quasi tutti gli aruspici della politica italica, il governo del professore durerà poco (meno di due anni), giusto il tempo per poi installarsi sul Colle più alto, il Quirinale; sempre che l’attuale inquilino, Mattarella, rispetterà la promessa di non prolungare la sua presidenza. Ma nemmeno questo è sicuro, visto che proprio lui, il capo dello Stato, è l’artefice del commissariamento di una intera classe politica, finita sotto le macerie dell’incapacità progettuale e operativa, e che al nuovo ‘uomo della provvidenza’ si affida per tentare poi di risorgere, nuova fenice. Come le riuscì in passato, con altri tecnici demiurghi. Da Ciampi, a Dini, a Monti, e mettiamoci pure Napolitano, che (era il 2013) supplicato di rimanere ancora un po’ nel Palazzo più prestigioso, acconsentì, ma ricambiò con un discorso zeppo di sonori ceffoni ai parlamentari entusiasti e plaudenti. Surreale seduta a Camere riunite.

Stavolta non sarà necessario, e non è nello stile dell’algido Draghi, celebrato ‘salvatore’ dell’euro, perciò dell’Eurozona, quindi di mezza Ue: sul quale si è riversato, con poche eccezioni, uno tsunami di miele, stima, riconoscenza. Rispettabilità pienamente meritata.

Eccoli dunque i nuovi/vecchi naufraghi gettarsi nell’ultima scialuppa di salvataggio. O nel ‘Draghstore’ (copyright ‘il manifesto’). Per dire che gli assoggettati e volonterosi comprimari forzatamente accettano ciò che super-Mario distribuisce dai suoi scaffali. Dal Salvini fulminato sulla via di Bruxelles (come preteso dal Nord produttivo) dopo il disastro del Papeete, le tonnellate di bile versate sulla “dittatura Ue”, le sincere lodi a Putin, e i suoi cacicchi in campagna permanente contro l’‘illegittimità’ della Banca centrale europea e contro l’odierno redentore, indicato come il protettore della finanza affamatrice; al Grillo che ai suoi... grulli fa surrettiziamente ingoiare l’ennesimo rospo della ‘responsabilità nazionale’ (che vale la permanenza nel Palazzo) anche a costo della prima vera scissione; al Berlusca in rianimazione politica dopo aver trascinato i ‘forzisti’ nel baratro dell’inconsistenza elettorale; allo Zingaretti, che canta vittoria (“trasformista la Lega, non noi”) ma si ritrova con un Pd più depresso di prima; fino al Renzi, che avrebbe compiuto l’ultimo passo verso l’auto-rottamazione. Manca solo la coerente Meloni, che, chissà, forse sa guardare più lontano.

Governo misto: una manciata di tecnici veri copiloti delle riforme imposte e finanziate dall’Ue (209 miliardi di Recovery plan), mentre per i partiti riecco il manuale Cencelli, calibrata distribuzione di ministeri, per garantirsi maggioranza parlamentare e disciplina. Governo di salvezza nazionale: un po’ più a destra, un (bel) po’ indigesto al centro-sinistra, un tantino misogino.

Non solo un “tecnico con sensibilità sociale”, il professore. Anche un abile diplomatico. Ha dribblato la Bundesbank, volete che non sappia guidare politici rimasti in braghe di tela? Si vedrà come. E, soprattutto, verso quali lidi.

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