L'analisi

La mattanza di Orlando 

13 giugno 2016
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“È il miglior regalo che potevamo avere per il Ramadan” scrive in un comunicato un sito di Daesh. L’Isis inneggia dunque alla mattanza del Pulse, la discoteca gay, e rivendica l’attentato. Non vi è ancora certezza ma appare probabile che la matrice della carneficina di Orlando sia da cercare nelle file dell’internazionale del terrore. Il dilemma Hate crime (crimine dell’odio) o attentato islamista sembra sciogliersi con il passare delle ore. L’Fbi apre un’inchiesta per terrorismo: il profilo dell’attentatore, Omar Mateen, fa subito pensare a un’ennesima strage perpetrata da un fanatico di Allah. Guardia giurata di professione, di origine afghana, simpatizzante – stando ad alcune fonti – dell’Islam radicale. Avrebbe anche telefonato alla polizia prima di compiere la strage affermando di prestare fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi, leader dell’autoproclamato Califfato. “Aveva recentemente visto due uomini baciarsi e si era scandalizzato”, ha raccontato il padre dell’attentatore per il quale “la religione non c’entra”. Eppure lo stesso padre sarebbe un fervente sostenitore dei Talebani afghani. La pista islamista è dunque probabile. L’odio antigay è oltretutto coerente con l’omofobia del fondamentalismo religioso. La prudenza è sempre d’obbligo, ovvio. Anche perché lo stillicidio di “mass shooting” è impressionante negli Stati Uniti: centotrentadue dall’inizio dell’anno, quasi uno al giorno. Ma la necessaria cautela non può esimerci dal tracciare un parallelismo con il massacro del Bataclan, lo scorso 13 novembre. Anche a Parigi fu preso di mira un luogo che secondo l’interpretazione letterale della sharia, rinvia a un peccato mortale, imperdonabile, quello di perversione. Il terrore islamista ha già colpito negli Stati Uniti pochi mesi fa, quando in dicembre una coppia di musulmani americani affiliati a Daesh aveva massacrato quattordici persone a San Bernardino, in California. Senza attendere gli sviluppi dell’inchiesta, la presunta matrice religiosa della strage del Pulse, ha immediatamente invaso l’arena politica: il candidato repubblicano alla presidenza Donald Trump ha subito twittato un messaggio di fermezza e vigilanza, non mancando di ricordare come lui avesse visto giusto sull’Islam. Il “tycoon” non aveva in precedenza esitato a proporre la chiusura delle frontiere americane ai musulmani, suscitando sì pubblico sdegno, ma pure tacito consenso in ampie fasce della popolazione. La ferita dell’11 settembre non si è certamente rimarginata e l’Islam, nonostante la politica improntata al dialogo e all’apertura del presidente Obama, è viepiù considerato – complici intolleranza e radicalizzazione portate dall’ideologia salafita – come un corpo pericolosamente estraneo ai valori della nazione e una minaccia per la sua stessa esistenza. L’obiettivo al quale mirano sia la strategia terroristica sia, sul fronte opposto, la demagogia populista, consiste nel dividere la popolazione, contrapponendo fronti ideologici antitetici in nome di una presunta incompatibilità di valori. Un’insidia devastante per la coesione nazionale e la stabilità internazionale. Il “conflitto di civiltà” presentato come una causa della violenza e dell’odio, ne è in realtà in gran parte un effetto indotto e cercato. Sembra ormai esser definitivamente sceso il tempo di Caino: l’accecamento rischia di aver la meglio sulla ragione.

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