La proposta del 10% per i premi di cassa malati ha il pregio di sollevare una questione di fondo: quali sono le priorità della politica governativa
Non è la prima volta che in Ticino qualcuno dice tetto, ma in realtà la questione finisce per riguardare tutto. In questi giorni un nuovo esempio lo fornisce l’iniziativa socialista che mira a introdurre, appunto, un tetto massimo del 10 per cento del reddito disponibile per i premi di cassa malati. Un’iniziativa fotocopia a livello cantonale di quella respinta in votazione federale l’anno scorso (ma passata in Ticino). Un progetto che, stando alle stime contenute nel rapporto che il governo ha trasmesso alla commissione parlamentare della Gestione, comporterebbe un costo di circa 300 milioni di franchi annui per le finanze pubbliche.
Un documento, quello allestito dal Consiglio di Stato, più politico che tecnico. In effetti un approccio metodologico consono al tema esaminato avrebbe dovuto calcolare non soltanto l’onere derivante dall’introduzione del plafone del 10%, ma pure le ricadute positive – finanziarie e sociali – di un simile meccanismo. Cosa s’intende? Prima di tutto va chiarito che quella cifra abnorme non sarebbe una nuova voce di spesa: oggi quei 300 milioni di franchi sono a carico dei residenti in Ticino e sono – questo è assai noto – il principale fattore che incide negativamente sulla progressiva erosione del potere d’acquisto delle famiglie. Una circostanza che non riguarda soltanto i ticinesi ma soprattutto i ticinesi, quelli con i salari più bassi di tutta la Svizzera e il rincaro dei premi più alto.
Cosa vorrebbe dire in termini di capacità di consumo – quindi di redditività per le aziende, gettito, posti di lavoro – “ridare” 300 milioni di franchi al ceto medio, quello che non riceve alcun sussidio secondo gli attuali parametri della Ripam, oppure che ne riceve una somma piuttosto esigua? La statistica elaborata dall’Ustat indica che più della metà delle economie domestiche (il 57%) beneficerebbe di un aiuto qualora venisse introdotto il tetto massimo del 10 per cento. Ci sarebbe poi da quantificare l’eventuale incremento del substrato fiscale a favore di Cantone e Comuni per via della diminuzione degli importi deducibili alla voce ‘Oneri assicurativi e interessi di capitali a risparmio’ della dichiarazione d’imposta. Un ipotetico rafforzamento del substrato fiscale che si manterrebbe perfino in caso di approvazione dell’iniziativa leghista che chiede il quasi raddoppio della cifra massima deducibile per oneri assicurativi. Quell’iniziativa che, così com’è stata concepita, andrebbe a favorire principalmente i grossi contribuenti e comporterebbe un effetto praticamente nullo per il “vero” ceto medio, quello con dei redditi imponibili compresi tra i cinquanta e i centomila franchi.
La proposta socialista, indipendentemente dai consensi che raccoglierà o meno, ha il pregio di sollevare una questione di “tutto”: quali sono le priorità della politica governativa. Lo stesso esecutivo che ribadisce “l’insostenibilità strutturale” di una misura che affronta di petto l’insopportabile problema dei premi di cassa malati, si dice pronto a rimandare di dieci anni la revisione – prevista dalla legge – delle stime immobiliari; revisione che se non altro garantirebbe buona parte del finanziamento dell’iniziativa del 10%, oltre a dare una boccata di ossigeno ai Comuni. Chiaro, ciò implicherebbe andare contro gli interessi dei grandi proprietari fondiari, quelli che trarrebbero enormi benefici dall’iniziativa leghista per l’incremento delle deduzioni per oneri assicurativi; gli stessi che, guarda caso, sostengono l’introduzione di un “tetto” automatizzato al numero dei dipendenti pubblici. E pure qui: dicono tetto, ma intendono tutto.