‘Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato’. Tutti sanno (sappiamo) che Gobbi lo sa
Ruspe autogestite, etilometri difettosi ed enormi falli gonfiabili da piscina: tutto nella norma(n). Motivo per cui “i cittadini devono avere fiducia nelle autorità”, ribadisce il direttore del Dipartimento ticinese di giustizia e polizia in una recente intervista (à la carte). Intervista in cui evita – e gli viene risparmiato – ogni riferimento alle ultime rivelazioni emerse nell’ambito dell’inchiesta bis sulla demolizione di uno degli stabili dell’ex Macello di Lugano, avvenuta la notte del 29 maggio 2021. Quell’edificio che per anni è stato sede dello Csoa Il Molino.
C’è chi ha scritto che nelle parti desecretate della documentazione dell’inchiesta sia comparso per la prima volta il nome di Norman Gobbi. La Polizia cantonale che aveva annerito alcuni passaggi dell’incarto consegnato al procuratore generale Andrea Pagani – colui che è stato costretto dalla Corte dei reclami penali a riaprire le indagini –, si opponeva al dissigillamento infine deciso dal giudice dei provvedimenti coercitivi Ares Bernasconi – quello per cui “la verità viene prima dei sigilli” –, e ora assicura che il nome del capo del Di non è mai stato secretato. Insomma, tutti sapevano (sapevamo) che Gobbi sapeva dello sgombero. E chi faceva finta di non saperlo, ora lo sa.
E della demolizione? Questo per ora non lo sappiamo. Quello che sì è noto da tempo è che la condizione di “necessità esimente” data dalla pericolosità del tetto dello stabile occupato dagli autogestiti è stata l’argomento chiave che ha permesso al pg di chiudere la prima inchiesta con un decreto di abbandono, scagionando di fatto la capodicastero Sicurezza della Città di Lugano Karin Valenzano Rossi e il vicecomandante della Cantonale Lorenzo Hutter. Entrambi tuttora indagati nel procedimento riaperto per i presunti reati di abuso di autorità, violazione delle regole dell’arte edilizia e infrazione alla legge sulla protezione dell’ambiente.
Ciò che davvero colpisce dalle ultime rivelazioni non è tanto l’ovvietà che Gobbi fosse a conoscenza dello sgombero andato in scena il 29 maggio 2021, quanto il fatto che il tetto dello stabile demolito non sarebbe stato in realtà pericolante. Non c’era quindi alcun rischio di crollo che giustificasse l’intervento immediato delle ruspe, anche perché su quel tetto i lavori di messa in sicurezza erano già stati fatti in precedenza. Ergo, se le cose stessero proprio così, l’asserito “claudicante passaggio di informazioni” per cui dalla Centrale avrebbero detto “tetto” e sul posto hanno capito “tutto” diventerebbe un mero alibi, completamente ininfluente.
Qui è il momento in cui per forza bisogna chiamare in causa George Orwell, colpevole di una citazione obbligata: “Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato”, recita uno degli slogan del Socing, il partito unico al governo in ‘1984’. Quel mondo in cui la storia viene riscritta in continuazione a seconda delle momentanee necessità dei detentori del potere. E dove i vocaboli “problematici” – possibili veicoli del pensiero critico – vengono censurati e fatti scomparire dal linguaggio corrente. Un metodo che sembra ripreso alla perfezione nel nostro distopico Ticino: quello dei presunti favoreggiatori anomali senza traccia di favoreggiato, della sede dell’autogestione demolita in barba a qualsivoglia procedura in seguito a un ordine dato per “sbaglio”, di un organo di sorveglianza della Giustizia – il Cdm – capace di emettere delle sentenze di destituzione pur di autoassolversi. Tutto, appunto, rigorosamente nella norma(n).