laR+ IL COMMENTO

Istantanee a confronto: due piazze, due stati d’animo

Iniziata la tregua si va alla sostanza del complesso accordo da realizzare in tre tappe, nella fragile speranza che esse si dispieghino senza intoppi

In sintesi:
  • A Tel Aviv la commozione, quasi il raccoglimento
  • A Gaza una platea festosa, anche un po’ inquietante
I miliziani di Hamas in primo piano
(Keystone)
20 gennaio 2025
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Due piazze, due stati d’animo, due scenari profondamente diversi. A Tel Aviv la commozione, quasi il raccoglimento, nell’attesa delle immagini della liberazione tanto agognata dei primi ostaggi prigionieri di Hamas, nel luogo dove per sedici mesi si sono alzati cartelloni e slogan contro il governo Netanyahu, accusato dai famigliari sequestrati di una scelta di guerra assoluta che inevitabilmente metteva in pericolo la vita dei sopravvissuti ai rapimenti del 7 ottobre. Non molto lontano, la piazza palestinese, una piazza di Gaza trasformata in platea festosa, anche un po’ inquietante, migliaia di gazawi, scampati ai bombardamenti che hanno scarnificato le città e i villaggi della Striscia, e ieri riuniti come per un festeggiamento.

Sono le istantanee a confronto di una giornata davvero particolare. In cui ognuno ha giocato, spontaneamente o meno, la sua parte. Di certo, Hamas ha voluto dare una dimostrazione di presenza e controllo. Si intuiva una studiata regia. I jihadisti in armi non erano nella piazza palestinese solo per dimostrare che in oltre un anno di guerra Israele non è riuscito nel suo obiettivo principale: non solo depotenziare bensì sradicare il nemico, eliminarlo, togliergli il controllo della piazza e della popolazione che (con decine di migliaia di morti) ha pagato un prezzo altissimo al tragico azzardo antiebraico che fornì a Israele l’inedita percezione della sua fragilità, una sensazione di vulnerabilità che probabilmente condizionerà a lungo la politica di Tel Aviv.

Hamas c’è, era il messaggio. Si va così alla sostanza del complesso accordo da realizzare in tre tappe. Alla fine, pur nella fragile speranza che ognuna di esse si dispieghi senza intoppi e incidenti, rimarrà un finale difficilissimo: la creazione di una nuova autorità incaricata di governare e ricostruire una Gaza ridotta a paesaggio lunare, case, ospedali, scuole, strutture economiche ridotti a un ammasso di macerie. L’idea, anche se solo accennata da sauditi e arabi moderati, è di affidarla all’Olp che fu di Arafat ed è oggi guidata dal corrotto e impopolare Abu Mazen. Il quale vent’anni fa venne sconfitto elettoralmente da Hamas, esito contestato dai laici di Al Fatah e della comunità internazionale, rifiuto che portò alla guerra civile inter-palestinese, che nella Striscia decretò anche il successo militare di Hamas. Con conseguente dittatura islamista. Coabitazione possibile oggi? Ci sono poi i problemi interni di Netanyahu, dopo che dalla maggioranza si è sfilato il più determinato dei due ministri ultra-religiosi, ostile all’accordo e possibile leader di un nucleo più duro dei coloni, opposizione molto impegnativa per qualsiasi governo israeliano. Certo, musica per il futuro, ma di un futuro non troppo lontano.

Infine, l’incognita Trump. Su di lui conta molto Netanyahu. Ma le prime mosse del tycoon sulla tragedia mediorientale probabilmente hanno un po’ spiazzato l’amico israeliano. Il suo inviato in Israele ha detto ieri di temere i “numerosi nemici della pace”; e quando gli è stato chiesto se si riferisse ad Hamas, ha risposto: “I nemici di entrambe le parti”. Esplicito riferimento anche agli oltranzisti biblici. Non proprio una cambiale in bianco per il longevo premier israeliano.