laR+ IL COMMENTO

Gli eccessi di Trump e la virtù dimenticata

A pochi giorni dall'insediamento del presidente statunitense noto per le sue intemperanze, una riflessione sulla moderazione come forza democratica

In sintesi:
  • Il pensiero progressista sta perdendo terreno mentre paradossalmente manca proprio di una virtù cardinale tradizionale: la temperanza.
  • Mentre altre virtù cardinali sopravvivono in forma distorta, la moderazione è vista oggi come debolezza, premiando invece chi, come Trump, non ha filtri.
  • La sfida delle democrazie è dimostrare che la temperanza non è una debolezza.
Donald Trump balla durante un comizio in Carolina del Nord nell’ottobre del 2024
(keystone)
18 gennaio 2025
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Per chi si riconosce in quei valori e ideali che potremmo definire “progressisti”, gli ultimi anni sono stati politicamente e culturalmente difficili. Curiosamente, di fronte al crescente successo che incontrano, nelle urne e nei discorsi pubblici, le idee conservatrici se non reazionarie, quello di cui più si sente (o si dovrebbe sentire) la mancanza è una delle tradizionalissime virtù cardinali su cui si fonda l’etica cristiana.

L’etica moderna le ha un po’ messe da parte e oggi le quattro virtù morali sono – insieme alle tre virtù teologali e ai sette vizi capitali – più che altro una guida per interpretare certe figure presenti in opere d’arte medievali e rinascimentali. Le troviamo, ad esempio, in uno degli affreschi nelle Stanze di Raffaello nei Musei vaticani: saggezza, giustizia, fortezza e temperanza. Come quasi tutto il pensiero etico cristiano, l’origine delle virtù cardinali è greca (e l’affresco di Raffaello si trova vicino alla celeberrima Scuola di Atene). Una delle prime formulazioni la troviamo in Platone (che significativamente separa la giustizia, virtù dello Stato, dalle altre tre che sono virtù dell’anima), ma è soprattutto attraverso la rielaborazione stoica che le quattro virtù cardinali sono entrate nel pensiero occidentale. Non che riguardino solo il pensiero occidentale: vi è anzi una forte convergenza interculturale, con riscontri in tradizioni filosofiche e religiose in tutto il mondo, per quanto con formulazioni leggermente diverse.

Saggezza, giustizia, fortezza e temperanza sembrano quindi caratterizzare il nostro essere umani. E tuttavia se oggi viene ancora generalmente riconosciuta l’importanza della saggezza (per quanto ridotta a intelligenza e furbizia), della giustizia (per quanto limitandola al proprio gruppo di appartenenza) e della fortezza (scambiandola per testardaggine e superbia), la temperanza pare essere diventata un vizio.

La moderazione, l’autocontrollo, l’umiltà, la prudenza e le altre caratteristiche che la tradizione attribuisce alla temperanza sono oggi viste come un cedimento all’ipocrisia di artificiose convenzioni sociali e politiche, un modo per nascondere le vere intenzioni dietro parole inautentiche. Donald Trump ha convinto il suo elettorato – e i non pochi ammiratori al di fuori degli Stati Uniti – anche e soprattutto grazie al fatto che dice (e fa o cerca di fare) la prima cosa che gli passa per la mente. Una mancanza di inibizione che è stata vista come una rottura liberatoria dalle convenzioni, come ha messo in evidenza Ezra Klein in una delle più lucide analisi della popolarità di Trump (‘What’s Wrong With Donald Trump?’ pubblicato dal New York Times lo scorso ottobre). Trump, ma il discorso si applica a molti leader populisti in giro per il mondo, dice ad alta voce ciò che secondo molti non si potrebbe più esprimere pubblicamente (e che in realtà viene detto ripetutamente e senza particolari conseguenze).

Impensabile contrastare questo modo di pensare semplicemente rimpiangendo il decoro della politica tradizionale. Al contrario, bisognerebbe lasciare da parte i formalismi per recuperare quell’idea di temperanza che i greci consideravano fondamentale per la vita della polis: l’equilibrio e l’autocontrollo non per conformismo, ma per costruire uno spazio pubblico. La sfida – non tanto per il pensiero progressista, ma per le democrazie liberali – è forse proprio questa: dimostrare che la temperanza non è una debolezza ma al contrario una forza.