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Memoria, sanzioni e polemiche

Si avvicina la Giornata della memoria e l’arrivo della Israel Philarmonic Orchestra al Lac sta alimentando il dibattito sull’opportunità di certe scelte

In sintesi:
  • Si torna a parlare di boicottaggi: utili nel caso del Sudafrica dell’apartheid, ma spesso applicati con parametri troppo diversi
  • Molti hanno la memoria corta, certe discussioni hanno il merito di tenerla viva
Manifestazione contro Israele nella Svizzera francese
(Keystone)
13 gennaio 2025
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È opportuno ospitare la Israel Philharmonic Orchestra al Lac di Lugano il prossimo 23 gennaio? L’interrogativo ha aperto sui social un ampio dibattito, tracimato in feroci polemiche. Dalla parte del sì, non solo chi si schiera risoluto accanto al governo di Israele, ma anche quanti considerano che l’arte e la cultura siano da tener ben distinte dalla sfera politica. Contrario, nel fiume di “indignazione e disgusto”, chi ritiene che commemorare la Giornata della memoria (27 gennaio) invitando l’orchestra di uno Stato che sta perpetrando un vero e proprio genocidio (secondo diversi storici e Ong indipendenti come Amnesty e Hrw) sia un atto di truce incoerenza se non di provocazione. La Giornata della memoria è stata indetta dall’Onu per ricordare le vittime dell’olocausto: ebrei, rom, dissidenti, omosessuali, slavi, Testimoni di Geova.

In filigrana delle commemorazioni risuona quel “mai più” che invece la storia contemporanea ha già disatteso in più occasioni. Di fatto, in una sorta di paradosso anche semantico, quella che prima della Seconda guerra mondiale si chiamava ancora Palestine Symphony Orchestra, aveva cancellato dal proprio repertorio, all’indomani della “notte dei cristalli” nel 1938, le opere di Richard Wagner, autore di diversi scritti antisemiti. Come dire che già ai tempi era caduta la sottile paratia tra arte e politica.


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Tentativo fallito di chiedere l’esclusione di Israele dai Giochi di Parigi

Il ricorso al boicottaggio e alle sanzioni per piegare la politica ha una lunga travagliata storia: tra i rari successi quello relativo alla campagna contro la segregazione in Sudafrica: furono proprio le forze dell’opposizione a chiedere alla comunità internazionale un isolamento totale, economico, commerciale, diplomatico, sportivo e culturale. Il ruolo delle sanzioni nella fine del Sudafrica razzista fu decisivo. Allora perché non applicarle a quel Paese che oggi è accusato di praticare pulizia etnica e apartheid? A chiederlo personalità intellettuali come Naomi Klein o Noam Chomsky, registi come Ken Loach oltre al movimento Bds (Boycott, Divestment and Sanctions) al quale aderiscono pure alcune organizzazioni dissidenti ebraiche. Le sanzioni come alternativa alla lotta violenta, alla guerra. Teoria che ha un’indubbia logica, ma la cui coerenza cozza contro la politica del “doppio standard” messa in atto dall’Occidente.

La Russia è radiata da Uefa, Fifa, Comitato Olimpico Internazionale, è stata punita economicamente, culturalmente, scientificamente (Cern) per la guerra in Afghanistan o in Ucraina. Una risposta certamente condivisibile alla violazione del diritto internazionale o a quella dei diritti umani. Che non venga applicato lo stesso principio nei confronti di Usa, Israele o Arabia Saudita per altrettanto gravi violazioni del diritto non può tuttavia che condurci alla constatazione che questa geometria variabile poco abbia a che fare con considerazioni umanitarie.


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Il Sudafrica dell’apartheid

Nella progressiva deriva di credibilità della superpotenza americana si iscrive il voto con cui un paio di giorni fa la Camera dei Rappresentanti ha approvato delle sanzioni contro… la Corte Penale Internazionale (Cpi) che ha avuto la sfrontatezza di emettere un ordine di cattura nei confronti di Netanyahu e dell’ex ministro della difesa Gallant, per la carneficina (65mila morti accertati secondo la recente inchiesta di The Lancet), le distruzioni, gli ostacoli posti alle forniture mediche, alimentari e ai soccorsi alla popolazione di Gaza.

La lunga storia delle sanzioni non fornisce risposte unanimi agli interrogativi che pongono embarghi e boicottaggi, ma è indubbio che quelli che colpiscono la cultura o lo sport siano tra i più visibili e al tempo stesso i più indolori per i civili. Commemorare la Giornata della memoria è strumento utile rivolto a chi ha la memoria corta. Aprire un dibattito, contestando le scelte degli organizzatori è altrettanto legittimo e può servire a chi l’ha cortissima, dando indirettamente voce alle ombre palestinesi, a quell’esercito di morti viventi, bimbi, anziani, donne, ma anche agli ostaggi israeliani intrappolati in un silenzioso dolore.