laR+ IL COMMENTO

Un urlo strozzato in gola per la terza volta

Dopo due abbondanti settimane ricche di soddisfazioni, la Svizzera deve arrendersi proprio sul più bello: argento per gli uomini di Patrick Fischer

In sintesi:
  • Anche stavolta, al di là della soddisfazione per il bel risultato, c’è delusione per un sogno che svanisce sul più bello
  • Il titolo va alla Repubblica Ceca, battuta nella fase a gironi ma che si prende la rivincita nel ‘Gold medal game’
Patrick Fischer a capo chino
(Keystone)
27 maggio 2024
|

Non c’è due senza tre. Stoccolma, 19 maggio 2013, Copenaghen, 20 maggio 2018 e, ora, Praga, 26 maggio 2024. Ancora una volta bocciati sul più bello. Con quell’urlo strozzato in gola: no, nemmeno quest’anno potremo gridare a squarciagola ‘Campioni del mondo’. Perché, come undici e sei anni fa, anche stavolta la Svizzera deve accontentarsi della medaglia d’argento. Che, al di là di tutto, non è un metallo da disprezzare, ci mancherebbe altro, ma che considerato il cammino della truppa di Patrick Fischer in quel di Praga, e Ostrava per il quarto di finale con la Germania (finalmente battuta, e pure questo dev’essere iscritto alla voce ‘attivi’ della spedizione in Repubblica Ceca), lascia inevitabilmente l’amaro in bocca. Perché, quando si arriva fino all’ultimo step della competizione, è inevitabile che si inizi a pensare in grande, ma in grande per davvero, e a fantasticare. E allora quella medaglia d’oro che avevamo mancato davvero di un niente sei anni prima, soccombendo alla Svezia solo ai rigori, dopo essere stati in vantaggio a due riprese e pure nella serie di rigori, davvero ci sembrava lì da prendere. Accessibile. Fermo restando che sarebbe comunque stata necessaria una partita di qualità nell’ultimo atto. Niente da fare, quell’ultimo step non siamo riusciti a salirlo nemmeno stavolta. E allora, ancora una volta, mandiamo agli archivi un torneo con sentimenti contrapposti. Da una parte la soddisfazione di aver vissuto e visto due abbondanti settimane di hockey a tinte rossocrociate fatto di tanti alti e pochissimi bassi, con una squadra capace di innestare la marcia superiore quando è stato necessario farlo, e cioè al termine di una fase a gironi comunque già di pregevole fattura (e ‘sporcata’ solo dalla sconfitta contro il Canada). D’altro canto c’è però la sacrosanta delusione per il fatto di aver dovuto accantonare, per la terza volta in undici anni, i sogni di aurea gloria. Pazienza, sarà per un’altra volta. Ma, e anche questo dev’essere messo sul piatto della bilancia, stavolta, al di là del punteggio e dei contenuti tecnici del ‘Gold medal game’, come viene definito l’ultimo atto dagli addetti ai lavori, il retrogusto amaro in bocca lo si percepisce eccome, perché, per una strana congiunzione astrale, quest’anno come mai in passato i pianeti sembravano tutti (o quasi) allineati per Patrick Fischer, il quale per allestire la sua rosa aveva potuto contare sull’apporto di quasi tutte le sue migliori pedine, compresi i rinforzi ‘nordamericani’. Tolti l’acciaccato Timo Maier e Pius Suter, tutti gli altri avevano risposto alla chiamata del selezionatore della Nazionale. Compreso un Kevin Fiala sbarcato in Cechia in fretta e furia poche ore dopo essere diventato papà, e subito decisivo sul ghiaccio di Praga. Accanto ai ‘valori certi’ d’oltre Atlantico, bene hanno fatto pure tutti gli altri del contingente, trascinando di peso la Svizzera fin dove è arrivata. Ma, appunto, non è bastato per salire anche quell’ultimo gradino su cui ci eravamo già fermati nel 2013 e nel 2018. Pazienza, ci riproveremo, già fra dodici mesi nei Mondiali co-organizzati da Danimarca e Svezia o in quelli del 2026, che terranno banco proprio da noi, a Zurigo e Friborgo. Sperando che anche in futuro i pianeti possano darci un altro colpo di mano allineandosi in modo favorevole.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔