laR+ IL COMMENTO

Alla ricerca dell'origine dello sgocciolamento

Dalla Russia bolscevica fino al Ticino dei giorni nostri passando da Laffer, Reagan e Thatcher, per cercare di capire da dove arriva questo ‘trickle down’

In sintesi:
  • Si potrebbe pensare che Arthur Laffer abbia dedicato parecchie ore di studio al dibattito Preobrazenskij-Bucharin
  • Un mantra, quello del ‘trickle down’, poi ripreso alle nostre latitudini e diventato punto fermo delle politiche economiche cantonali
Un’idea fallace
(Depositphotos)
16 maggio 2024
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A metà degli anni Venti, dopo la morte di Lenin, ci fu un intenso dibattito all’interno del Partito bolscevico. Erano i tempi in cui si poteva ancora dibattere in Russia. La ‘Nuova economia politica’ (Nep) implementata da Lenin cominciava a dare segni di esaurimento dopo aver consentito, in una prima fase, un notevole recupero della produzione. La Nep leniniana non era però condivisa da tutti i membri del Partito, soprattutto perché aveva aperto la strada a certe relazioni di produzione capitalistiche nel mondo agricolo. Una volta scomparso il leader della Rivoluzione di ottobre e di fronte al dilemma di come promuovere lo sviluppo del Paese, si consolidarono due schieramenti: l’Opposizione di sinistra e la Deviazione di destra. Evgenij Preobrazenskij, della cosiddetta sinistra, sosteneva la necessità di privilegiare a tutti costi la crescita dell’industria pesante. Per permettere ciò – affermava –, era necessario indirizzare l’eccedenza della produzione agricola a sostegno dello sviluppo industriale urbano attraverso una manipolazione dei prezzi relativi negli scambi città/campagna: una forma non violenta di ridistribuzione della ricchezza. Visione contrastata a destra da Nikolaj Bucharin, il quale si rese famoso per la frase “arricchitevi kulaki”, convinto com’era che quella fosse la strada da percorrere per garantire le risorse necessarie al successo della concezione – poi ripresa e snaturata da Stalin – del “socialismo in un solo Paese”.

Portando quasi agli estremi il metodo ipotetico-deduttivo, si potrebbe pensare che l’economista Arthur Laffer abbia dedicato parecchie ore di studio al dibattito Preobrazenskij-Bucharin prima di partecipare alla formulazione della teoria sulla supply-side (ruolo dell’offerta); teoria in netta contrapposizione al pensiero keynesiano che poneva invece l’accento sull’importanza del sostegno pubblico alla domanda aggregata. Nel tentativo di fornire una consistenza (pseudo)scientifica alle politiche poi portate avanti dai governi di Margaret Thatcher e Ronald Reagan negli anni 80, Laffer disegnò la sua famigerata ‘curva’ (una teoria “scarabocchiata su un foglio di carta”, secondo il premio Nobel Joseph Stiglitz), modello grafico che suggerisce come oltre un determinato livello di pressione fiscale l’attività economica non sia più conveniente e di conseguenza il gettito tenda a diminuire. Una formulazione che diede, appunto, legittimazione accademica alle scellerate politiche neoliberiste britanniche e nordamericane in voga quarant’anni fa. Un mantra, quello del ‘trickle down’, poi ripreso alle nostre latitudini e diventato punto fermo delle politiche economiche cantonticinesi da almeno trent’anni a questa parte (con tutte le conseguenze, non prettamente positive, del caso).

Scriveva lo storico Eric Hobsbawm che “la distruzione del passato, o meglio dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani degli ultimi anni”. Circa una volta al mese un altro storico, Andrea Ghiringhelli, spiega su queste colonne perché le democrazie liberali senza equità sociale diventano una contraddizione in termini: contraddizione che comporta tutta una serie di derive piuttosto insidiose. Sono proprio questi i motivi per cui ancora oggi, soprattutto oggi, risulta fondamentale indagare sulle origini della fallace idea che vede in un mai dimostrato sgocciolamento dall’alto della ricchezza una forza propulsiva dello sviluppo economico.

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