laR+ IL COMMENTO

L’esito (scontato) dell'operazione elettorale speciale di Putin

Livelli plebiscitari nelle elezioni in Russia. Al potere da 24 anni, lo zar ci potrà rimanere per altri 12: vacilla il record staliniano

In sintesi:
  • Nessun dato elettorale in Russia è verificabile
  • Siamo di fronte all'apoteosi putiniana
  • Occidente si sente minacciato e costretto a riavviare la grande macchina dell’industria bellica
(Keystone)
18 marzo 2024
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Ci congediamo subito dalla ricerca della verità: nessun dato elettorale in Russia è verificabile. Dal cilindro i maghi del Cremlino hanno estratto qualcosa che supera addirittura l’atteso 80/80, partecipazione/voti per il despota. Livelli plebiscitari, esagerati, ma comunque un po’ sotto il livello di Stalin nel 1937 (99,30%). L’operazione elettorale speciale doveva garantire conferme, rassicurare una popolazione stanca e passiva, celebrare questo 71enne dall’intimo sopraffino cinismo, offrendogli una sorta di perennità politica: altri sei anni e poi sei ancora, sta scritto nella riforma costituzionale del 2020. Costituzione e copione rispettati, ci mancava anche che qualcuno osasse negare al Capo il tripudio.

Al potere da 24 anni, ci potrà rimanere per altri 12: il primato del Baffone (31 anni) ormai vacilla. Mentre l’Ucraina orientale è inghiottita nel frastuono di un’interminabile notte lunga già due anni, a Mosca la montagna di morti ammazzati e di macerie al fronte non turba il sonno della nomenclatura: l’apoteosi putiniana è l’incontro tra un’esaltazione patriottarda, una consumata paranoia anti-occidentale, un’ideologia slavofila limitrofa del fascismo, l’affermazione di un disprezzo per la libertà e la vita umana che galleggia sereno e incontrastato sulla superficie del rovinoso fiume degli eventi.

Decapitata a colpi di polonio, novitchok, torture, martellate, pistolettate, purghe (nel manuale d’uso del Fsb – ex Kgb – doveva esserci anche l’aereo di Prigozin esploso in volo), l’opposizione ha potuto timidamente esporsi, sotto lo sguardo intimidatorio di polizia e militari, presentandosi ai seggi ieri a mezzogiorno in punto, facendo semplicemente la fila, rovinando le schede o votando per altri candidati. L’iniziativa, promossa da Yulia Navalnya, vedova dell’oppositore martire morto nel gulag, sembra aver riscosso un certo successo considerando il contesto: il nuovo articolo 141 del Codice Penale prevede condanne fino a 8 anni per chi interferisce nel processo elettorale.

Non fa eccezione nel blindato rituale elettorale in salsa russa il risultato delle comparse tutte rigorosamente pro-guerra (un comunista, un ultranazionalista, un businessman): hanno ottenuto quanto basta, ma non di più, per dare parvenza di credibilità alla messinscena. Basso profilo dunque. Memori forse di quanto successe a Pavel Grudinin nella scorsa tornata elettorale: paperone comunista col conto in Svizzera, si candidò e osò sfiorare il 12% delle preferenze.

In men che non si dica perse soldi, azienda e scomparve dalla vita politica. “È una pagliacciata: né la partecipazione, né chi sarà sul secondo gradino del podio hanno importanza” ha commentato Tatiana Kastoueva-Jean direttrice del Centro Russia/Eurasia di Parigi. Messi al bando dalla commissione elettorale i due candidati pacifisti, la reale consistenza dei sentimenti anti-putiniani nella popolazione rimane indecifrabile. È verosimile che il sostegno passivo o attivo per l’autocrate rimanga comunque abbastanza diffuso nel Paese.

Una “bad news” per la pace e – con l’eccezione dei tanti cavalli di Troia di estrema destra e di qualche (poco) rosso-(tanto) bruno con in saccoccia il vecchio kit ideologico da Guerra fredda – per un Occidente che si sente minacciato e costretto a riavviare a pieno regime la grande macchina dell’industria bellica.

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