laR+ IL COMMENTO

Siamo un po' tutti dei migranti

In Ticino ci si dimentica spesso del passato di emigrazione che attraversa le storie di molte famiglie. Ma c'è chi cerca l'antidoto a derive razziste

In sintesi:
  • Una regione che, con circa 600 richiedenti sul suo territorio, si è sentita lasciata sola
  • Anche le istituzioni del Distretto troveranno un alleato in Berna e Bellinzona?
Il cosiddetto Paf, oggi chiuso
(Ti-Press)
11 gennaio 2024
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Una lettera ormai ingiallita fa capolino da un cassetto di casa. È un figlio che scrive a sua madre. Il suo ricordo era finito in un angolo della memoria, ma c’era; incancellabile. Quante volte ho sentito raccontare in famiglia (quella di mio padre) di quel fratello della bisnonna con un talento d’artista andato lontano in cerca di fortuna. Salito su una nave per l’Argentina e morto in giovane età. Chi in Ticino, del resto, non ha una storia di emigrazione da raccontare lungo le rotte europee o d’oltreoceano? Perché anche noi siamo stati e siamo (nel Dna) un po’ tutti migranti. E, come spesso capita, tendiamo a dimenticarcelo. Faticando così a veder specchiato in chi oggi ‘sbarca’ al confine sud della Svizzera un pezzetto del nostro passato, in fondo recente.

Eppure le storie delle persone che arrivano in un Centro federale d’asilo non sono molto diverse da quelle di alcuni nonni, bisnonni o trisavoli partiti dal Ticino. Uomini (ma anche donne) che con coraggio sono andati alla ricerca di una Terra promessa; in alcuni casi trovandola, in altri no. Anche le loro vite, infatti, parlano di stenti e di voglia di riscatto, di sogni e di speranze. E allora per quale motivo non riusciamo a rompere quella sorta di circolo vizioso che ci fa avvitare su noi stessi, tra diffidenza, paura, indifferenza? Perché cadiamo facile preda di slogan e soluzioni facili promesse da una politica che alza muri e teme l’altro?

Lo si è visto nell’anno che ci siamo appena lasciati alle spalle. È bastato veder impennare gli arrivi e le domande d’asilo per chiudersi a riccio. Sono stati sufficienti taluni casi di cronaca – certo deprecabili ma riferiti comunque a una piccola minoranza di richiedenti l’asilo – registrati in una terra di frontiera come il Mendrisiotto, per salire sulle barricate (almeno da parte di una certa politica di Destra) e mettere quasi alla berlina realtà come Chiasso o il Basso Mendrisiotto per qualche voto in più.

Una regione che, con circa 600 richiedenti sul suo territorio, si è sentita lasciata sola, dalle istituzioni superiori e dalla solidarietà del resto del cantone e del Paese. Tant’è che il Distretto ha trovato in se stesso la forza per reagire e gli antidoti per arginare il rischio di scivolare in atteggiamenti razzisti. Di recente è nata l'Associazione Mendrisiotto Regione Aperta, che sta dimostrando che un'altra accoglienza è possibile; e proprio coinvolgendo la popolazione e il mondo associativo locali – anche l'Accademia di architettura è scesa in campo con La fabbrica dell'ospitalità – in iniziative che danno modo alle persone alloggiate nelle strutture federali di uscire e vivere il territorio. Associazione pronta altresì a disinnescare qualsiasi tentazione di equiparare i migranti a delle ‘cose da gestire’ e non a delle persone.

Anche le istituzioni del Distretto troveranno un alleato in Berna e Bellinzona? Adesso si confida nel prossimo viaggio del nuovo consigliere federale Beat Jans che, raccolto in eredità da Elisabeth Baume-Schneider il dossier asilo, sarà nel Basso Mendrisiotto a febbraio. Ancora non c’è una data sul calendario, né sono giunte indicazioni in merito da Palazzo federale, ma le aspettative sono alte. Il neocapo del Dipartimento federale di giustizia e polizia arriverà solo in visita o porterà con sé anche le risposte tanto attese dai Comuni del comprensorio? Staremo a vedere.

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