La trave nell’occhio

In nome del bene collettivo?

In Gran Consiglio imperversano le considerazioni di carattere contabile e c’è scarsa attenzione alle questioni di equità e di giustizia sociale

In sintesi:
  • Impressiona la perseveranza con cui alcuni ultraliberisti più o meno camuffati difendono l’indifendibile teoria dello sgocciolamento della ricchezza
  • Intanto i favorevoli alla riforma fiscale – i liberali e tutta la destra – ci dicono che conviene avere fiducia: più che fiducia direi un atto di fede
  • Di fronte alla mediocrità di certe esibizioni inutilmente contrastate da una minoranza impotente, forse vale la pena di chiedere ai cittadini cosa pensino della faccenda
(Ti-Press)
16 dicembre 2023
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Stavo buttando giù alcune premesse per un libricino sulla politica tra ieri e oggi.

Ovviamente c’è un accenno doveroso a Platone, secondo cui alla testa delle istituzioni sarebbe utile che ci fossero i saggi per eccellenza, i filosofi (è il grande sogno degli epistocratici, che oggi, di fronte al desolante spettacolo della politica, hanno ripreso vigore). Poi ho aggiunto un piccolo appunto su Aristotele: ci spiega che fare politica significa agire e amministrare la polis per il bene collettivo. Quindi la politica come ricerca della convivenza e della comunanza degli interessi. Questo stavo scrivendo, ma poi ho avuto modo di seguire gli accesi dibattiti in Gran Consiglio sulla riforma fiscale. E ho dovuto dare ragione a Raffaele De Mucci (‘I molti e i pochi’, Soveria Mannelli, 2015) che, come altri studiosi, ritiene che, ahimè, ti basta seguire qualche dibattito politico per accorgerti che la qualità non brilla e si deve ammettere che “l’eccellenza è la mediocrità” (con, ovviamente, le lodevoli eccezioni).

A impressionare il diligente cittadino accucciato in tribuna, oltre alle sgrammaticature e alla scarsa padronanza della sintassi di alcuni rappresentanti vocianti fra gli scranni, è l’inconsistenza degli argomenti esibiti: imperversano le considerazioni di carattere contabile e c’è scarsa attenzione alle questioni di equità e di giustizia sociale. Alcuni coraggiosi deputati si arrischiano a richiamare il problema, ma “vox clamantis in deserto”. Impressiona la perseveranza con cui alcuni ultraliberisti più o meno camuffati difendono l’indifendibile teoria dello sgocciolamento della ricchezza, da annoverare fra le cause dello sconquasso della democrazia liberale. Intanto i favorevoli alla riforma – i liberali e tutta la destra – ci dicono che conviene avere fiducia: più che fiducia direi un atto di fede.

Qualcuno ha provveduto a ripetere, in tono consolatorio, che lo sgravio è per i ricchi, ma una minestra di ceci è pure assicurata alla classe media e a quelli che se la passano male. Quindi il concetto di bene collettivo è salvaguardato, ma forse bisognerebbe aggiungere un particolare non secondario: a favore di chi?

È noto che l’ignoranza delle persone comuni è un motivo d’ansia per le democrazie, ma io propongo di riflettere pure sull’ansia di noi cittadini comuni quando l’ignoranza appartiene ai governanti o a una parte ragguardevole di essi. Di fronte alla mediocrità di certe esibizioni inutilmente contrastate da una minoranza impotente, forse vale la pena di chiedere ai cittadini cosa pensino della faccenda. Forse i cittadini possono chiarire che i valori di giustizia sociale e di equità non sono passati di moda. E che lo sgocciolamento della ricchezza non funziona a dovere e bisognerebbe evitare le prese in giro. E che magari l’idea di bene comune, di interesse collettivo, di comunanza di interessi sia da rivedere.

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