laR+ IL COMMENTO

Warren Buffet, il ‘benefattore’ di Omaha

Il quinto uomo più ricco del pianeta ha deciso che dopo la sua morte il 99% dei suoi averi confluirà in una fondazione che lotta contro la povertà

In sintesi:
  • Buffett si è convinto da tempo della necessità di condividere i soldi con chi, nella vita, ha avuto meno opportunità
  • Insieme a Bill Gates, nel 2010 Buffett ha dato vita al Giving Pledge, una campagna che è anche un impegno morale
Contro la ricchezza dinastica
(Keystone)
6 dicembre 2023
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Nei giorni scorsi il mensile Bilanz ha pubblicato l’annuale classifica dei residenti in Svizzera più ricchi, classifica dominata dal francese Gérard Wertheimer il cui patrimonio supera i 40 miliardi di franchi. Una cifra decisamente strabiliante. Se non che, negli Stati Uniti, c’è un uomo d’affari di 93 anni, Warren Buffett, la cui fortuna è tre volte superiore: ammonta, stando alla rivista Forbes, a oltre 120 miliardi di dollari. Buffett, detto anche ‘l’oracolo di Omaha’ (la città del Nebraska in cui vive) per la sua straordinaria capacità di prevedere l’andamento della finanza, è il quinto uomo più ricco del pianeta. Davanti a lui ci sono, tra gli altri, due magnati della new economy: Elon Musk e Jeff Bezos, dei veri e propri accumulatori seriali di quattrini.

Warren Buffett, dopo averne fatti tanti di soldi, si è convinto da tempo della necessità di condividerli con chi, nella vita, ha avuto meno opportunità. Così ha deciso che, dopo la sua morte, il 99% dei suoi averi confluirà in una fondazione, la cui finalità è quella della beneficenza. Ad amministrarla saranno i tre figli, anche se ‘l’oracolo di Omaha’ ha ammesso di avere impiegato un po’ di tempo a convincerli. La finalità di Warren Buffett è la lotta alla povertà, un obiettivo per il quale ha già donato, negli anni, 42,8 miliardi di dollari. Se vogliamo, poco più di un’inezia per un uomo che nel 2023, in virtù del suo fiuto per gli investimenti, ha già aumentato il proprio patrimonio di oltre 13 miliardi di dollari.

Ricchissimo ma tutt’altro che avido, così come il boss di Microsoft Bill Gates, con cui nel 2010 Buffett ha dato vita al Giving Pledge, una campagna che è anche un impegno morale: destinare almeno la metà della propria fortuna in opere filantropiche. Nell’atto di fondazione si parla chiaramente di “impegno da parte degli individui e delle famiglie più ricche del mondo a restituire la maggior parte della loro ricchezza”. In questa campagna c’è un sottinteso: abbiamo ricevuto tanto, facciamone partecipi anche quelli la cui esistenza non è stata, in egual misura, baciata dalla buona sorte. All’esortazione di Buffett e Gates hanno finora aderito, almeno negli Stati Uniti, 25 miliardari. Tra questi citiamo l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg, il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, oltre a George Soros, l’uomo d’affari di origini ungheresi inviso a molti esponenti politici, tra cui Putin, perché ritenuto il regista occulto di molte vicende che hanno segnato la storia degli ultimi 30 anni.

Tornando a Warren Buffett, oltre a partecipare alla fondazione creata con Bill Gates, ne ha costituita una in memoria della moglie Susan, morta nel 2014. Fondazione che tra l’altro finanzia le borse di studio dei giovani poveri del Nebraska. Insomma, parrebbe quasi che quest’uomo immensamente ricco si senta in colpa per la montagna di soldi accumulati durante un’intera esistenza. Un sentimento che non lo porta a demonizzare il capitalismo, visto che per Buffett “ha fatto miracoli e continuerà a farli”, pur essendo convinto che la ricchezza non renda più saggi. Soprattutto, e questa sarebbe una riflessione da sottoporre ai trecento super-ricchi della classifica di Bilanz, il magnate di Omaha è contrario alla ricchezza dinastica. Evidentemente con buona pace dei suoi tre figli.

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