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Quando l’amore per i bambini non è amore

Chi abusa dei fanciulli è spesso un parente, un amico, un insegnante, come nel caso di cronaca giudiziaria più recente in cui a subire erano le allieve

In sintesi:
  • Pedofili e abusanti sono convinti di fare del bene 
  • Le proprie azioni vengono rinnegate
  • Finché c’è negazione non c’è guarigione 
‘È lui che cercava le mie attenzioni’
29 luglio 2023
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Alcune fantasie esistono per rimanere fedeli alla loro etimologia in contrapposizione al reale. Altre hanno fondamenta nella concretezza della vita: ne traggono diretta ispirazione ma si sviluppano esclusivamente nella selvaggia e impunibile dimensione dell’immaginario. Altre ancora, le più esecrabili, che non dovrebbero neanche esistere nelle blinda della mente, nascono irrimediabilmente da situazioni quotidiane percepite nella forma più distorta. È quanto succede ai pedofili (quelli che realizzano le proprie perversioni) e a chi commette atti sessuali con fanciulli. Una malattia che non solo è reale, ma anche più prossima di quanto si possa pensare. Nella maggior parte dei casi il pericolo s’insinua tra le pareti di casa, nella cerchia più ristretta, dissacrando il luogo dell’accoglienza e della protezione. Al di là dell’essere subdolo e manipolatore, l’abusante è spesso qualcuno di cui non si dubiterebbe mai. Un amico, un familiare, un prete o un insegnante che vanta un’ottima reputazione, che si è conquistato la fiducia altrui.

Due casi: entrambi negano

Lo dimostra la recente cronaca giudiziaria del Luganese: un insegnante di musica 68enne, durante delle sessioni di massaggio che offriva, ha abusato di sei bambine tra i 6 e i 15 anni tastando le loro parti intime; o ancora un padre si toccava in salotto in presenza del figlio. Per entrambi è arrivata la condanna penale. Ma lo dimostrano anche le statistiche registrate dalla Polizia cantonale: nel 2022 ci sono stati 7 arresti e 33 reati per atti sessuali con fanciulli. Per quanto casi distinti, in entrambi il comun denominatore è stata la negazione. Il 68enne, benché in una fase preliminare dell’inchiesta abbia ammesso di avere bisogno d’aiuto, durante il processo in tribunale ha chiuso ermeticamente ogni possibilità di recupero, ritrattando la prima versione.

Il dramma nella tragedia

Spesso la negazione è dovuta al fatto che queste persone non riconoscano consciamente di aver creato un danno alla vittima. Sono convinti di averlo fatto perché al bambino faceva piacere. Come in nome della parola pedofilo, che tradotto significa letteralmente ‘amante dei bambini’. «Se alle bambine non piaceva quello che stavo facendo, avrebbero potuto mostrare un segnale di disagio, che però non ho mai notato», queste le parole del 68enne. «Se non voleva scoprirmi mentre mi masturbavo bastava che rimanesse nella sua stanza», ha affermato il padre disinibito. E finché c’è negazione non vi può essere guarigione. Poi c’è il dramma all’interno della tragedia: quando chi presenta queste pulsioni attribuisce la colpa alle vittime. ‘Era lei a sedersi sulle mie gambe’, ‘era lui a cercare le mie attenzioni’. Occorre domandarsi non solo con quale folle e depravata percezione si arroghino il diritto di abusarne sessualmente, ma con quale profondità si sviluppa l’abisso che ha incenerito la loro dignità e morale tanto da scaricarsi di dosso ogni responsabilità e attribuirla a un bambino di 4, 6, 10 anni. Al proprio figlio, nipote, figlioccio che nient’altro voleva che affetto e considerazione, ancora inconsapevoli del significato attribuibile alla sessualità. Un’innocenza che invece di essere preservata e garantita viene irrimediabilmente contaminata, senza che l’abusante nemmeno riconosca dentro sé stesso il male provocato.

La domanda da porsi è quale recupero sia immaginabile per un abusante che rifiuta di riconoscersi tale. Il vero senso della condanna penale inflittagli e del periodo trascorso in carcere lo capirà, forse, solo se riuscirà ad abbattere, con l’aiuto di qualcuno, il muro della negazione. In caso contrario, dietro le sbarre e chissà per quanto tempo ancora, resterà libero di fantasticare. E di causare ancora dolore.

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