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Dogma alla ticinese: il voto di castità democentrista

Gli esponenti dell’Udc (e non solo loro) stanno elaborando un manuale di austerità che parte da una visione distorta del contesto e della società

In sintesi:
  • Chissà se Piero Marchesi, Paolo Pamini e Sergio Morisoli hanno mai sentito parlare di ‘Dogma 95’?
  • Nel decalogo elettorale dell'Udc sembra esserci una certa influenza della ‘castità’ cinematografica danese
  • I sacrifici vengono sì imposti, ma non vanno mai a toccare gli ideologi e i sostenitori di queste politiche scellerate
‘Ogni famiglia ha un segreto’
16 febbraio 2023
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Il 13 marzo 1995, a Parigi, i registi danesi Lars von Trier e Thomas Vinterberg presentarono al mondo il loro "voto di castità" cinematografico, mondialmente conosciuto come ‘Dogma 95’. Si trattava di un decalogo di regole autoimposte (niente luci, nessuna scenografia, assenza di colonna sonora, rifiuto di ogni attrezzo al di fuori della camera a mano) attraverso il quale i due artisti intendevano contrastare una certa tendenza del cinema di allora, "inquinato" secondo loro dall’uso eccessivo della tecnologia e degli effetti speciali. Una sorta di ritorno alle origini, messo nero su bianco in un manifesto programmatico stilato e firmato ufficialmente a Copenaghen. La prima produzione Dogma è stata l’eccezionale ‘Festen’ di Vinterberg, gli altri film del movimento non furono nulla di straordinario. Dieci anni più tardi, a marzo del 2005, sempre a Copenaghen, il patto von Trier-Vinterberg si è sciolto.

Chissà se Piero Marchesi, Paolo Pamini e Sergio Morisoli hanno mai sentito parlare di ‘Dogma 95’... Il manifesto programmatico dell’Udc in vista delle elezioni cantonali del prossimo 2 aprile, per quel che concerne la gestione delle finanze pubbliche, fa presupporre che una certa influenza della "castità" cinematografica danese ci sia stata. Basta dare un’occhiata ad alcune delle regole contenute nel loro decalogo elettorale: concedere meno soldi allo Stato, attraverso sgravi fiscali e riduzioni di tasse; obbligare lo Stato a spendere meglio questi soldi, applicando una vera disciplina finanziaria; imporre l’uso selettivo delle risorse attraverso una revisione dei compiti; aziendalizzare l’operatività, attraverso il controllo di efficacia ed efficienza…

L’impressione è che gli esponenti dell’Udc (e non solo loro) siano arrivati a elaborare questo manuale di austerità prima di tutto perché il loro punto di partenza è una visione completamente distorta del contesto e della società. La narrazione democentrista parla di una situazione "disastrosa che dovrebbe allarmare tutti"; secondo loro lo Stato "è il più grande nullatenente che esista" e il debito pubblico è ormai una bomba a orologeria. In un recente contributo apparso su laRegione Marchesi si permette addirittura di paragonare – come se fossero valori commensurabili – la percentuale di crescita demografica degli ultimi dieci anni (2,7% circa) all’indice di aumento cumulato della spesa pubblica (24,7%), tralasciando l’evoluzione del prodotto interno lordo e l’incremento dei bisogni legato per esempio al progressivo invecchiamento della popolazione. Fa ciò per giungere alla conclusione – che in realtà è la sua premessa – che la spesa "è fuori controllo" e che andrebbe pertanto tagliata.

Il primo problema di tutto questo discorso sta nel fatto che il presunto "voto di castità" dell’Udc in realtà non riguarda alcun nobile principio artistico: lo scopo piuttosto conclamato di ridimensionare le funzioni dello Stato non è altro che il passaggio necessario per alleggerire i settori più agiati della società – Thatcher insegna – dal "fardello" contributivo. Mentre il secondo e più pericoloso inconveniente di questo Dogma alla ticinese è che i sacrifici vengono sì imposti, ma con una particolarità: non vanno mai a toccare gli ideologi e i sostenitori di queste politiche scellerate; penalizzano tutti gli altri.

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