laR+ IL COMMENTO

Non c’è cieco e non c’è sordo

Balza all’occhio un proverbio tanto pertinente quanto illuminante nella triste vicenda che ha coinvolto Unitas

In sintesi:
  • L'audit commissionato dal Consiglio di Stato ha rimarcato criticità all'interno dell'associazione per ciechi e ipovedenti della Svizzera italiana
  • Un passo indietro, richiesto, di comitato e membri di fondazioni però non c'è stato
  • Il concetto di vittima ‘a geometria variabile’
Giustizia: ma su quale piano?
(Keystone)
23 dicembre 2022
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C’è un proverbio tanto pertinente quanto illuminante nella triste vicenda di Unitas: ‘Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere né peggior sordo di chi non vuol sentire’. Anche quando le parole sono pesanti, e comprovate, come macigni.

È stato proprio il nostro giornale a inizio anno a portare a galla quelli che, in circa un ventennio (con segnalazione ai fori giudiziari nel corso del 2021), sono stati indicati, da diverse testimonianze, come gravi episodi di molestie e mobbing da parte di un esponente dell’associazione per ciechi e ipovedenti della Svizzera italiana. Così, quella carezza sulla coscia si è via via trasformata in qualcosa di ancor più grave: conflitti di interesse, concentrazione ingiustificata di ruoli e competenze, carenze nella gestione e un rapporto di fiducia minato. Il tutto avvalorato non solo da testimonianze dirette di soci, utenti, volontari e collaboratori, ma da un audit esterno, e dunque indipendente, voluto dal Consiglio di Stato, autorità politica che elargisce a Unitas sussidi cantonali, e quindi soldi pubblici, per due milioni di franchi.

C’è, dunque, chi ha sbagliato e chi, per il tramite della Divisione dell’azione sociale e delle famiglie, è stato richiamato a mettere in atto una serie di provvedimenti al fine di ‘aggiornare’ al meglio l’organizzazione. Tutto risolto? Non ci pare. Peccato, infatti, che non si tenga conto, ancora una volta, delle vittime e di coloro chiamati ‘a rapporto’. Le prime, come annotato sull’edizione di mercoledì de ‘laRegione’ dal criminologo Michel Venturelli, rischiano di diventare "un concetto a geometria variabile", e perciò vittime due volte; i secondi, invece, si salvano in corner, sottoponendosi, con una faccia di bronzo fuori dal comune, a una timida tiratina d’orecchi.

Eppure, l’etica e la giustizia ci porterebbero a dire che non funziona, e non dovrebbe funzionare così. Sbagli? Veloce esame di coscienza, chiedi scusa e paghi. E se sei davvero corretto (e non un opportunista) fai anche un passo indietro, ritornando al tuo posto solo se il consesso che ti ha denunciato e criticato te lo permette. Altrimenti è meglio per tutti cambiare aria.

Torniamo allora all’audit che ha confermato svariate criticità presenti in Unitas, tutte peraltro rese note anche dalla nostra testata. Il minimo che ci si aspetti sono le dimissioni del comitato (fra cui alcuni nomi erano già presenti in passato) e dei membri delle due fondazioni consorelle. Un tirarsi da parte che non è però venuto – né a bubbone scoppiato né all’inizio della valutazione curata dall’avvocato Raffaella Martinelli Peter – seppur sollecitato da più parti, internamente ed esternamente all’associazione, e che non pare, e sta qui la gravità del gesto, all’ordine del giorno neppure oggi che su queste persone pesa ufficialmente un rapporto di ‘condanna’ chiaro e competente.

Con quali conclusioni? La conferma – citiamo – della presenza di criticità di natura formale e organizzativa, con particolare riferimento ai ruoli, alla vigilanza interna, alla gestione delle segnalazioni e al flusso di informazioni. E quindi che si fa? Non certo permettersi la leggerezza di lasciare al suo posto chi avrebbe dovuto vigilare. Ma, finalmente, aprire gli occhi. Perché giammai vorremmo una giustizia cieca. Ci basta che sia imparziale.

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