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L’Urc2022, Cassis e la Storia

C’è stato Marignano, certo, ma ora c’è Mariupol: il Consiglio federale ha avviato de facto una revisione della politica di neutralità

Sulla Conferenza molti dubbi sono legittimi
(Keystone)

Nella piena tradizione di una provincia viziata, spesso ostile a tutto salvo a se stessa, i neinsager ticinesi non hanno posto tempo di mezzo denunciando la Conferenza sull’Ucraina di Lugano. Qualche signora che protesta perché assieme al suo cagnolino cotonato, per ben due giorni, non potrà più zampettare verso la Piazza della Riforma all’ora dello Spritz. Qualche assiduo frequentatore di grotti e osterie che con pari levatura morale abbaia un "nüm a pagum". Come dire: la vita di milioni di persone racchiusa in un portafoglio. Non poteva mancare lo sparuto folkloristico manipolo di talebani dello stalinismo versione fast food che, con un’ignoranza dei fatti e della Storia paragonabile a quella di un palo della luce, denuncia l’aggredito e assolve l’aggressore. Infine chi, accecato dalla retorica, in quest’inizio di estate smemorato, urla il suo orrore nel vedere, con singolare messa a fuoco delle immagini, la perla del Ceresio trasformata addirittura in una città sotto assedio. Manco le micro zone rosse e blu tracciate attorno al Palazzo dei Congressi ricordassero la green zone di Baghdad.

Al di là delle acide sbuffate di incarogniti e brontoloni, sull’Urc2022 molti dubbi sono legittimi. Uno su tutti: a che serve, visto che la guerra è ancora in corso e che G7 e Ue hanno progetti simili? Con accortezza, gli obiettivi illustrati da Simon Pidoux, factotum di alto rango del Consiglio federale per l’Urc, sono poco ambiziosi ancorché importanti. E, come sottolinea la ‘Nzz’, consentiranno, al termine del super summit luganese, di evitare bilanci troppo severi. Non si tratta di "ricostruire" da subito, bensì di gettare le basi per una ripartenza. Di dare la parola alle diverse parti coinvolte (una quarantina di paesi, una quindicina di organizzazioni internazionali, rappresentanti del mondo economico) e in primis agli ucraini (in remoto con il presidente Volodymyr Zelensky, in presenza con il premier Denys Shmyhal). L’Ucraina non dovrà solo render testimonianza della sua sofferenza, ma fornire solide garanzie che una lunga tradizione di corruzione a tutti i livelli (paragonabile forse solo a quella del paese invasore) rende imprescindibili. Zelensky ha fatto indiscutibilmente meglio del suo predecessore Poroshenko, ma del coraggio esternato in guerra avrà bisogno anche nella lotta contro gli oligarchi. Kiev parla di 600 miliardi di danni di guerra, ma la stima della Banca Mondiale è molto più contenuta (60 miliardi). L’abisso tra le cifre andrà spiegato. La ricostruzione naturalmente riguarda tutti i settori della società, le ferite più profonde tuttavia sono quelle invisibili: "Ricomporre i frammenti delle vite di milioni di persone, restituire speranza alle future generazioni", sintetizza la Ong Terre des Hommes. Come dire che non si parlerà solo di "vil denaro".

Infine il dibattito sulla neutralità non può essere liquidato in modo sbrigativo. Le critiche alla politica di Berna (con in prima fila l’Udc) toccano un nervo scoperto della nostra Storia. Scendendo direttamente in campo, senza ambiguità, Ignazio Cassis e con lui il Consiglio federale hanno avviato de facto una revisione della politica di neutralità di portata storica: c’è stato Marignano, certo, ma ora c’è Mariupol. Chissà che nella mente del presidente e dei ministri non siano anche riecheggiate le celebri parole dell’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu: "Se siete neutrali in situazioni d’ingiustizia, avete scelto la parte dell’oppressore".

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