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È tornato il Wef di lotta e di governo

Dalle tematiche care ai ‘no-global’ fino alle proposte per riformare un sistema economico che ha mostrato tutti i suoi limiti

Il padrone di casa Klaus Schwab ha accolto virtualmente Volodymyr Zelensky
(Keystone)

Dopo due anni di quasi assenza – in realtà si è tenuto rigorosamente in modalità virtuale a causa della pandemia – il Wef di Davos è tornato in presenza e per giunta in un periodo dell’anno anomalo. Sinceramente non si è sentita la mancanza di un evento che – a torto o almeno con troppa enfasi – viene considerato come la summa del capitalismo contemporaneo. In realtà i ‘davosiani’ in questi cinque decenni di esistenza del Forum hanno toccato, in modo smaccatamente camaleontico, i temi più vari: dall’ecologia, alle disparità sociali. Ma sempre utilizzando formule più o meno sfumate in modo da farci stare di tutto e di più e non prendere mai veramente posizione o solo per procrastinare un sistema di produzione e consumo che – per usare le parole del suo fondatore Klaus Schwab – "produce crisi, instabilità sociale e politica e va riformato prima che sia troppo tardi". Quelle riforme le stiamo ancora aspettando. Sempre Schwab, nel gennaio 2020 all’alba della pandemia, aveva riconosciuto che "oggi il pendolo della storia va nella direzione contraria rispetto a quella preconizzata anni fa dalla globalizzazione dei mercati". "Il neoliberismo estremo e la spinta ai massimi profitti producono un abisso, ed è questo abisso tra i ricchi e i poveri che determina nella popolazione un evidente senso di mancanza di giustizia sociale, accentuata dal boom dei social media". Traduzione: "Attenzione a non esagerare perché gli eccessi del sistema hanno prodotto il populismo". Frasi che solo qualche anno prima potevano essere attribuite a un leader ‘no-global’. E invece no, sono state pronunciate a Davos davanti a una folta platea pagante di quella che si definisce élite globale, espressione proprio di quel capitalismo che a parole si vuole riformare. E davanti a quella platea hanno parlato – invitati e applauditi – molti leader del momento: dalla giovane attivista per il clima Greta Thunberg a Donald Trump, passando per Xi Jinping. Vladimir Putin, ora bandito assieme a tutti i russi in ossequio alle sanzioni, parlò in videoconferenza l’anno scorso. Quest’anno l’ospite d’onore – sempre via video – è stato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Il tema che da ieri e fino a venerdì i delegati che accorreranno a Davos affronteranno è: "La storia a un punto di svolta: politiche governative e strategie di business". Anche in questo caso si tratta di un coperchio per tutte le pentole: dalle modalità per uscire definitivamente da una crisi sanitaria che ha fatto emergere i limiti di una globalizzazione dei mercati troppo spinta, alla situazione bellica in Ucraina che di quella globalizzazione potrebbe essere il punto finale. Il quadro attuale è infatti inquietante e composto da una guerra di aggressione in Europa da parte della Russia che riporta il calendario della storia a più di 80 anni fa, una crisi energetica senza precedenti con i governi alle prese con un rallentamento della transizione verde che ha rilanciato con orrore carbone e nucleare, una globalizzazione di fatto distrutta e un clima di contrapposizione fra grandi potenze come Stati Uniti, Cina e Russia che somiglia tanto a una riedizione della guerra fredda. A questo si aggiunge un’inflazione in alcune economie galoppante, che non si vedeva da parecchi decenni. Difficilmente il mondo e gli equilibri geopolitici che troveremo a guerra finita – sperando che termini presto e senza ulteriori pericolose escalation – saranno quelli del 23 febbraio scorso. E soprattutto difficilmente questi problemi, come quelli sollevati nelle 50 edizioni precedenti, troveranno una soluzione a Davos.

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