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Il metodo Ursula e il conflitto Ucraino

Inizialmente snobbata da (quasi) tutti, la presidente della Commissione europea ha saputo ricondurre all’ordine tutti i leader europei

(Keystone)

Nel luglio del 2019, quando Ursula von der Leyen venne eletta presidente della Commissione europea con un’esigua minoranza, si dice che in Germania c’è chi abbia brindato, non tanto in segno di giubilo per avere una propria rappresentante ai vertici dell’Unione europea, ma piuttosto per essersi tolto di torno un problema. L’esponente della Cdu, molto vicina ad Angela Merkel, aveva in effetti dato pessima prova di sé come ministra della Difesa. Il suo invio a Bruxelles "è stato una liberazione per Berlino", scrisse non a caso Die Welt. Alla presidenza della Commissione, lei entrata piuttosto tardi in politica, doveva oltretutto rimpiazzare una vecchia volpe come il lussemburghese Jean-Claude Juncker. Si può senz’altro dire che, fino al 24 febbraio, il giorno in cui la Russia ha attaccato l’Ucraina, quella donna minuta, che predilige un abbigliamento per nulla appariscente sulla falsariga dell’ex cancelliera, abbia dato una prova di sé priva di acuti. Neanche durante i due anni della pandemia ha rappresentato un particolare punto di riferimento per gli europei. Pareva quasi che Ursula von der Leyen non venisse presa sul serio, e a dimostrarlo ci hanno pensato prima il despota turco Erdogan, poi un tale Odongo Jeje, ministro degli Esteri ugandese. I quali, incontrandola, l’hanno praticamente ignorata. I due episodi, passati sotto la denominazione di "Sofagate", non hanno certamente contribuito a dare di lei l’immagine della lady di ferro. Possiamo immaginare l’iradiddio che sarebbe seguita a un "Sofagate" teso ad Angela Merkel.

Eppure, quando ha trovato sulla sua strada un vero "macho" come Putin, Ursula von der Leyen ha tirato fuori le unghie, dimostrandosi ben più determinata del sonnacchioso Joe Biden. L’Ue, che non ha un esercito, che spesso ha faticato a imporre ai propri membri una politica estera comune, è diventata tutto d’un tratto il soggetto che sta tentando di mettere nell’angolo, con le sue drastiche sanzioni, una superpotenza sia pure acciaccata come la Russia. Sanzioni che, dopo qualche giorno di tentennamenti, si è affrettato a sposare anche il nostro Paese, dopo aver cercato di ammorbidirle aggrappandosi al totem della neutralità. Pure il sovranista ungherese Orbán, che di Putin fino a poche settimane fa sembrava un fratello separato dalla caduta del Muro, si è allineato alle posizioni intransigenti di Ursula von der Leyen: "Sul conflitto Russia-Ucraina l’Ungheria farà parte della posizione comune dell’Unione europea", ha fatto sapere il portavoce del premier magiaro. A più miti consigli è stato ricondotto anche l’altalenante Matteo Salvini che finalmente, dopo aver denunciato gli aiuti militari di alcuni Stati Ue all’Ucraina, si è adeguato pure lui, probabilmente dopo essere stato strigliato da Mario Draghi, che con Ursula von der Leyen si trova in perfetta sintonia. Al momento della sua elezione alla presidenza della Commissione, uno dei suoi predecessori, Romano Prodi, inventò l’espressione "coalizione Ursula" per dare un nome all’alleanza politica di popolari, socialisti e macroniani che la sostenne. Possiamo dire, a questo punto, che con la guerra in atto Putin sta sperimentando un "metodo Ursula" che gli sta guastando il sogno di una vittoria lampo.

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