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Suisse Secrets, il passato che ritorna

Il caso sollevato da un’inchiesta giornalistica internazionale ricorda la vicenda dei fondi ebraici degli anni Novanta

(Keystone)
22 febbraio 2022
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Siamo ancora lì, immersi in un passato che proprio non si riesce ad archiviare. Quello scoperchiato dall’inchiesta dell’Occrp (Organized crime and corruption reporting project) sulla falsariga di quanto già fatto in passato dal Consorzio internazionale di giornalisti investigativi, l’Icij di Washington, è l’ennesimo capitolo di una storia purtroppo nota. Lo avevano già dimostrato i dossier denominati ‘Panama Papers’ e ‘Pandora Papers’, oltre ad altre inchieste giornalistiche che avevano posto sotto i riflettori dell’opinione pubblica internazionale – e di governi ed enti regolatori che non sembrano nel frattempo essere corsi ai ripari – pratiche finanziarie e fiscali che definire corsare è ancora fare un complimento. Nei casi Panama e Pandora Papers, decine di multinazionali, centinaia di facoltosi imprenditori, personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport, politici e qualche testa coronata avevano in comune, oltre allo schema elusivo costruito attraverso società offshore, anche i medesimi consulenti: una sorta di esclusivo club internazionale dell’ottimizzazione fiscale, nella migliore delle ipotesi.

A questi personaggi si sono aggiunti, nel caso di Suisse Secrets, che coinvolge direttamente Credit Suisse, dittatori, narcotrafficanti e politici corrotti. L’inchiesta giornalistica è partita dai dati relativi a 18mila conti bancari di Credit Suisse consegnati da un anonimo informatore alla testata tedesca Süddeutsche Zeitung, che a sua volta li ha condivisi con altre 47 testate giornalistiche di tutto il mondo. Un po’ come era successo nel 2008 con il caso di Hervé Falciani, che diede poi il nome all’omonima lista di presunti evasori, clienti della sede ginevrina della britannica Hsbc, consegnata prima al fisco francese e poi giunta ad altre autorità tributarie che a loro volta chiesero conto ai loro contribuenti infedeli. Per questa vicenda Falciani fu condannato nel 2015 dal Tribunale penale federale di Bellinzona a cinque anni di prigione perché ritenuto colpevole di spionaggio economico.

Nel caso di Suisse Secrets, la replica della seconda banca svizzera non si è fatta attendere: sono casi storici già risolti che vengono utilizzati per gettare discredito oltre che sulla banca, sull’intera piazza finanziaria svizzera. Una difesa che ricorda la vicenda degli averi ebraici nelle banche svizzere emersa all’inizio degli anni 90. Anche allora si disse che era una vicenda storica, già risolta. Si capì successivamente che tanto risolta non era.

Da allora molto è cambiato. La controversa clientela delle banche svizzere che passa sotto il nome di Pep, Persone esposte politicamente, e i loro capitali di dubbia provenienza dovrebbero essere un retaggio del passato. "È interesse assoluto della Svizzera evitare che i valori patrimoniali di provenienza illecita di persone politicamente esposte (i cosiddetti fondi di potentati) approdino sulla sua piazza finanziaria", si legge sul sito del Dipartimento degli affari esteri che rimanda a decine di documenti sul tema. In uno si può leggere: "La Svizzera non ha alcun interesse a detenere i suddetti valori patrimoniali sulla propria piazza finanziaria" e ricorda che dal 1986, in seguito alla caduta del dittatore filippino Ferdinand Marcos (il defunto avvocato Sergio Salvioni curò gli interessi dello Stato filippino depredato), la Confederazione ha sviluppato una serie di strumenti atti a respingere gli averi dei potentati o a restituirli agli Stati di provenienza. Sono passati più di trent’anni e siamo ancora fermi lì.

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