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Putin e l’ossessione della Crimea

La crisi nasce per proteggere l’egemonia sul Mar Nero, ma potrebbe anche essere un’opportunità per rivedere il posizionamento delle armi e le alleanze

Murale a Roma con Putin e la sua voglia di Ucraina (Keystone)
19 febbraio 2022
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Il punto dolente è sempre lo stesso: la Crimea. Vladimir Putin l’ha ribadito due volte al collega francese Macron.

"Cosa succederebbe se Kiev, un giorno all’interno dell’Alleanza atlantica, volesse riprendersi" la penisola contesa, annessa da Mosca nel 2014? Gli europei, ha sentenziato il capo del Cremlino, si troverebbero "automaticamente" in guerra con la Russia.

In pratica, siamo tornati indietro a metà del XIX secolo, quando alcune potenze del tempo inviarono un corpo di spedizione in Crimea contro lo zar. Basta leggere i "racconti di Sebastopoli" di Tolstoj per ricordare quella carneficina.

L’Ucraina all’interno dell’Alleanza atlantica è, per Mosca, un fattore destabilizzante: la classica bomba con la miccia innescata. Comprensibili sono le sue preoccupazioni: ma semmai nel 2014 bisognava pensarci! Si sarebbero evitati 14mila morti e due milioni di sfollati in Donbass, la "Lombardia" dell’Ucraina.


Manifesti per il voto pro-russo in Crimea nel 2014

Proprio questo secondo evento è servito a coprire il "ritorno a casa" di quella penisola, che permette al Cremlino di controllare il mar Nero e mezzo Medio Oriente e a Putin di occupare un posto nei manuali di storia.

Ma adesso che la frittata è stata fatta urgono soluzioni. Apprendere che la gigantesca Russia – che dispone di una delle Forze armate più efficienti al mondo – chieda garanzie per la propria sicurezza lascia di sasso. Come fa piangere il cuore che russi e ucraini rischino di scontrarsi a 76 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale che rase al suolo i loro Paesi e causò 28 milioni di morti. L’uomo non ha proprio imparato nulla.

La dimostrazione di muscoli in questa folle gara di body building ha terrorizzato il Vecchio continente. Ma la sua lezione - se ben utilizzata - potrebbe servire a costruire un mondo migliore: via le armi dall’Europa o perlomeno posizionarle in maniera da garantire sicurezza nei prossimi decenni, colmando i disastri lasciati da Donald Trump, leggasi ritiro unilaterale dal trattato sui missili a medio e a corto raggio. In breve, nuovo equilibrio degli armamenti.

Allo stesso tempo ritenere che nel XXI secolo globalizzato un Paese – l’Ucraina – non possa scegliere liberamente le proprie alleanze è irrealistico. Il mondo delle sfere d’influenza, sarebbe bene spiegarlo ai 70enni, è roba superata. Ecco la necessità per le diplomazie di escogitare nuove formule. Paesi come Italia, Francia e Germania dovranno contemporaneamente dare una calmata agli ex "satelliti" del Cremlino, oggi facenti parte dei Ventisette: i conti con la storia li fanno gli storici e non i politici. Mettere una pietra su dolorose divisioni, come hanno fatto francesi e tedeschi all’indomani del 1945, è indispensabile per il bene comune.


Una nave russa pattuglia il porto di Sebastopoli (Keystone)

I nodi del dissidio non sono stati sciolti: si apre, però, un breve periodo in cui le diplomazie saranno chiamate a inventarsi qualcosa di innovativo. Altrimenti tra 6 mesi saremo daccapo. Ogni anno la Russia fa grandi manovre alla frontiera ucraina, ma le opinioni pubbliche internazionali finora non se n’erano mai accorte.

Gli Stati Uniti sono riusciti nel frattempo a ricompattare il fronte occidentale e a mostrare al Cremlino che l’epoca dell’impunità è finito. Ma il vero obiettivo nel lungo termine è che la Russia cambi alleanza strategica e riduca l’abbraccio con la Cina.

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