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Mani Pulite o Tangentopoli, ognuno scelga ciò che preferisce

17 febbraio 1992: esattamente 30 anni fa l’iradiddio giudiziaria che investì prima Milano e poi l’intera Italia

Antonio Di Pietro oggi guida il trattore nelle campagne d’Abruzzo
(Keystone)
17 febbraio 2022
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L’iradiddio giudiziaria che investì prima Milano e poi l’intera Italia, a partire dal 17 febbraio di 30 anni fa, merita la definizione di Tangentopoli o di Mani Pulite? Tangentopoli, termine creato dal cronista di Repubblica Piero Colaprico, lasciava poche illusioni sull’abisso di corruzione in cui si era impantanata l’ex-capitale morale italiana. Mani Pulite, la definizione su cui si intestardì il sindaco leghista e uomo probo Marco Formentini, evocava, per contro, una sorta di catarsi milanese. Ebbe ragione Colaprico. L’inchiesta, partita dalla denuncia del titolare di una piccola impresa di pulizie vessato con continue richieste di dazioni dal socialista craxiano Mario Chiesa (presidente del Pio Albergo Trivulzio, il più grande ospizio milanese), ebbe un effetto domino sull’intera classe politica italiana. Sì, perché Chiesa, soprannominato il Kennedy di Quarto Oggiaro, più per il ciuffo che per la statura politica, dopo pochi giorni di carcere vuotò il sacco, inguaiando l’intero Partito socialista milanese, fino al segretario nazionale del partito ed ex-premier Bettino Craxi.

Erano giorni dal sapore rivoluzionario quelli della primavera del ’92 alla Procura di Milano. Nei corridoi le stampanti dei computer, arrivati grazie all’intuizione del Pubblico Ministero Antonio Di Pietro, vomitavano in continuazione la documentazione da allegare agli avvisi di garanzia. Che non risparmiarono nessuno, dai democristiani ai comunisti. Questi ultimi, peraltro, grazie soprattutto alla stoica resistenza in cella del Compagno G., ovvero del militante Primo Greganti, un faccendiere tutto falce e martello, furono l’unico partito che uscì praticamente indenne dalla buriana. Sul Pci gravarono tanti sospetti ma le prove latitavano, nonostante la chiamata di correità da parte di Craxi, durante una memorabile testimonianza in Tribunale.

A 30 anni di distanza, visto che degli scandali di Milano si vociferava da tempo, dal passante ferroviario costato il doppio della S-Bahn di Zurigo alla Duomo Connection, ci si può chiedere perché, proprio nel ’92, venne a galla quel gigantesco intreccio di corruzione che mandò a gambe levate i governanti di un intero Paese. Una possibile risposta è che sia stata una conseguenza della caduta del Muro di Berlino. L’Italia e i suoi politici inaffidabili ma, in fin dei conti, fedeli per convenienza al Patto Atlantico, non servivano più e quindi, quei magistrati che da anni mordevano il freno, ebbero mano libera. La temporanea "rivoluzione dei giudici", con il suo sinistro tintinnio di manette, fece piazza pulita di gente che si riteneva intoccabile. Ma durò lo spazio di pochi mesi. Poi, pazientemente, cadute le prime fila di una classe politica che aveva resistito per mezzo secolo, si fecero avanti coloro che avevano atteso, pazientemente, in seconda fila. A Forlani succedette Casini, al Governo finirono degli "nesci", come Gianni Brera definiva gli incapaci sprovveduti.

Mani Pulite o Tangentopoli, ognuno scelga la versione che preferisce, spianò la strada a Berlusconi e alla sua corte dei miracoli, che diede vita alla seconda Repubblica. Oggi anche quella è alle battute finali e vede giganteggiare gente del calibro di Luigi Di Maio e Giorgia Meloni. Mentre Antonio Di Pietro guida il trattore nelle campagne d’Abruzzo.

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