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Spesa e tagli, perché il no del Ps al referendum non convince

Il non contrastare l’iniziativa Morisoli raccogliendo le firme è un’occasione persa. Se la situazione è davvero così grave meglio l’attacco della difesa

Ti-Press
27 ottobre 2021
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In casa socialista rischia di essere un’occasione persa la decisione di scartare l’ipotesi referendum sull’iniziativa parlamentare dell’Udc che impone il pareggio di bilancio entro il 2025 agendo ‘prioritariamente’ sulla spesa. Una scelta che non convince per almeno due motivi. Il primo è che risulta difficilmente comprensibile l’argomento portato avanti dal copresidente Fabrizio Sirica sul fatto che, avendo una base d’area del 25/30%, sarebbe complicato arrivare a convincere il 50% più uno dei votanti. Un referendum è sempre chiamato da una minoranza parlamentare o politica che sia, con lo scopo di rovesciare nella società e nel mondo fuori dal Palazzo una decisione presa dalla maggioranza parlamentare. Soprattutto considerando l’aritmetica: la votazione in Gran Consiglio è finita 45 a 39. Tutto ciò comporta che il tema della percentuale di partenza diventa secondario rispetto al messaggio, al segnale che si vuole lanciare cominciando a raccogliere le firme. E qui si arriva al secondo motivo: questo referendum magari non sarebbe vinto, ma darebbe una forte scossa a un elettorato di sinistra che la accoglierebbe e asseconderebbe ben volentieri. Mobilitandosi su qualcosa di importante che avrebbe il merito di condurre, con la sua onda lunga, alla campagna elettorale per le cantonali del 2023.

Ma è oltre la contabilità che il Ps dovrebbe concentrare il proprio sforzo, perché il discorso è anche estremamente pratico. È stato detto, pure al comitato cantonale della scorsa settimana, che se del caso saranno combattute – prima in parlamento, poi alle urne – tutte le misure che andranno a colpire le fasce più fragili della popolazione e tutti i tagli che saranno eventualmente votati dalla maggioranza borghese. L’elenco non sarà breve. Davvero si vorrà combattere una per una ogni misura che, verosimilmente, andrà a colpire l’elettorato di riferimento socialista? Si faranno delle scelte considerando cosa è sacrificabile sull’altare dei conti in ordine e cosa no? Una netta presa di posizione anche fattuale oltre che teorica farebbe tornare il Ps al centro del dibattito come forza ‘offensiva’ e non solo ‘difensiva’, dando alla popolazione la possibilità di partecipare a un dibattito focalizzato sulle idee, sui progetti e sulle ricette da seguire per i prossimi anni. Non è poco.

Il piano di rilancio socialista recentemente presentato è un lungo e costoso elenco di misure sul quale è pacifico che andrà trovato un compromesso su quasi tutto. Perché le forze in parlamento sono quelle che sono. Ma perché esse migliorino, perché alle elezioni crescano percentuali e persone elette in Gran Consiglio, bisogna andare all’attacco. Una volta considerati gli equilibri nel Legislativo, si guarda fuori: a chi non vota, a chi vota senza intestazione, a chi è deluso, a chi vorrebbe votare Ps ma da un lato è demotivato e dall’altro si rivolge alle alternative d’area rappresentate da Verdi, Pc ed Mps. Dire al proprio comitato cantonale, e di rimpallo a tutti i propri elettori e simpatizzanti, che non si lancia un referendum perché probabilmente lo si perderebbe dà un’idea di insicurezza e di consapevolezza della minoranza delle proprie opinioni che non fa bene agli ambiziosi progetti cui sta lavorando il Ps, tra piano di rilancio e salario minimo, dando indirettamente ragione a chi, negli altri partiti, sostiene ciò. Star chiusi in un angolo giocando in difesa per paura del voto popolare è l’esatto contrario di quello che dovrebbe fare una forza politica oggi, in uscita dalla pandemia. Ancor di più se ha l’aggettivo ‘socialista’ nel proprio nome e se si fanno tanti discorsi sul progressismo.

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