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Borradori, vita permettendo ci sarebbe voluto essere

La difesa della sua privacy e l'amore per la piazza e il confronto con il cittadino hanno caratterizzato la sua vita e carriera politica

Marco Borradori
(Ti-Press)
13 agosto 2021
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Marco Borradori ha sempre preso la vita di petto, diremmo meglio ‘di corsa’. Un destino che lo ha voluto con sé proprio in uno di quei momenti per lui più attesi della giornata. Quell’infilarsi le scarpe da ginnastica e macinare chilometri, quando per puro piacere, quando per sfida. Non era tipo da poltrona (anche se poi sono state molte quelle ‘figurate’ che ha occupato), le preferiva il salotto di Lugano dove potersi confrontare, dove aveva sempre una mano da stringere, un sorriso da regalare, qualche fischio (metaforico e non) da prendere. Marco Borradori, il politico trasversale – e per questo ogni schieramento partitico ha dovuto negli anni e nelle cariche masticare spesso amaro e riconoscergli il titolo di ‘più votato’ –, in quella piazza non ha mai mancato di metterci la faccia. Da destra a sinistra, passando dal centro più o meno moderato, oggi glielo attestano tutti, nessuno escluso.

Amava la vita, in particolare la sua, “sempre molto ‘fuori’, tra i muri di una città invece che di una casa”, ci spiegava in occasione, due anni fa, della nostra intervista per i suoi sessant’anni. E amando la vita era costretto a esporsi, a non potersi nascondere. Incontrava così tanta gente fra le vie e i quartieri luganesi, ma anche ticinesi e insubrici: cittadini – dagli ammiratori ai detrattori –, rappresentanti delle istituzioni, del mondo economico, della scuola, della sanità, imprenditori, artisti, personale delle pulizie, vigilanti della notte. Per lui non c’era ceto né ‘casta’, ma sempre un “buongiorno signora Maria”, “buonasera signor Carlo”.

Marco Borradori pareva un uomo felice, complice il suo fare educato, mai sopra le righe, diplomatico ma per niente paraculo e opportunista. Si definiva un sognatore, dai pochi rimpianti. Eppure non aveva mancato di confessare che la parte più personale e intima della sua vita non era stata sempre semplice: “Mi porto addosso cicatrici e ferite non ancora completamente rimarginate. Ed è forse per questo motivo che avverto un’inquietudine costante, una irrequietezza e una ricerca continue”. In quella piccola casa dove abitava ci stava solo per dormire, aveva aggiunto in un momento di inaspettata confidenza. Però sotto quella finestra, poco più di un mese fa, un gruppo di persone dai modi poco garbati aveva scelto di affrontarlo, complice un clima cittadino teso. Lui non si scompose e, ancora una volta, allo schiaffo offrì la guancia: “Mi prendo le mie responsabilità”. Chissà se è stato quell’affronto che lo aveva recentemente incupito. Colpito cioè in quella che era la sua privacy, a cui teneva più di ogni altra cosa. Non così pesante, noi crediamo, avrebbe avvertito quella contestazione se avessero scelto quale teatro Palazzo civico, luogo dove, diversamente, dovrebbe avvenire lo scontro politico, anche aspro e duro.

Marco Borradori non amava “colloquiare con gente che si dice di ampie vedute, gente di cultura, che poi critica qualsiasi tipo di iniziativa, a meno che non sia una sua idea”. E a Lugano ve n’era e ve ne è un’ampia rappresentanza... Molti, infatti, sul Ceresio i progetti ancora aperti di cui non vedrà la realizzazione o magari anche la bocciatura. Un peccato. Perché lui, “vita permettendo”, ci disse, ci sarebbe voluto comunque essere.

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