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Grazie Tokyo, è stato speciale

L'edizione del covid, una ‘prima’ senza pubblico? Innegabile, tuttavia dove c'è emozione c'è Olimpiade. Vera e memorabile

9 agosto 2021
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«Avete fatto al mondo il regalo più grande in assoluto, la speranza». Non poteva trovare espressione più felice, Thomas Bach, numero uno del Cio, per rivolgersi agli atleti in occasione della cerimonia di chiusura dell’edizione numero 32 dei Giochi olimpici. La speranza è legata a una normalità da ritrovare al più presto, per restituire l’evento planetario che tanto appassiona e infiamma alla dimensione di festa e di condivisione che secondo tradizione lo contraddistingue.

Intanto però, bontà sua, Tokyo 2020 è riuscita smarcarsi dall’etichetta appiccicaticcia e fastidiosa di Olimpiade del Covid (scomodo compagno di viaggio relegato in un cantuccio e lì tenuto, sotto stretto controllo), dei Giochi senza pubblico e dell’edizione rinviata di un anno che ha interrotto la sacralità della cadenza quadriennale. Merito dell’organizzazione impeccabile, del Giappone alle prese con l’emergenza sanitaria che ha accettato il ruolo di paese ospitante con un senso dell’accoglienza e del dovere ammirevoli; degli atleti, più volte superatisi, seppur in un contesto in cui esprimersi ai massimi livelli non era affatto scontato. Merito delle emozioni, elargite a piene mani dalle più svariate discipline, quelle più tradizionali e quelle innovative, in perfetto stile olimpico. Tante e intense, da compensare almeno in parte la mancanza del contorno, il calore della partecipazione popolare che avrebbe reso tutto più entusiasmante di quanto già sia stato. Ed è stato bellissimo. La gente tornerà a riempire palazzetti e stadi, ad applaudire e sostenere. A condividere. Al vuoto delle strutture di Tokyo, potenzialmente destabilizzante, si sono contrapposti i sentimenti di chi ha trionfato, i rimpianti di chi ha perso un’occasione o addirittura la gara della carriera.

Delle emozioni, lo sport non può fare a meno, se la sua declinazione a cinque cerchi ambisce a passare alla storia come riuscita. Hanno fatto da contraltare al rigore dei protocolli e al rispetto di regole sanitarie giustamente rigide. Hanno segnato l’evento dal giorno della prima gara all’ultima premiazione, senza soluzione di continuità. Ogni giorno, un colpo di scena, un record, un’impresa sportiva, lacrime di gioia, pianti di delusione. Già, perché lo sport è tanto vittoria quanto sconfitta, è gioia e dolore.

Il caso umano della bielorussa Tsimanouskaya, i patemi e le paure di Simona Biles, la folle corsa a ostacoli di Warholm già consegnata alla leggenda, la frustrazione di Djokovic – l’invincibile caduto proprio a Olimpia – gli Azzurri dello sprint. In chiave Svizzera, la messe di medaglie al femminile, la tripletta della mountain bike, l’oro e l’argento di Belinda Bencic, il quarto posto della 4x100 (con Ajla Del Ponte) alle spalle delle più grandi scuole della velocità. Stringendo ancor di più la prospettiva per inquadrare il minuscolo Ticino prodigo di talenti, il sensazionale e storico bronzo di Noè Ponti nel nuoto, la strepitosa finale dei 100 con Ajla, addirittura quinta, prima delle europee.

Tutte facce della stessa medaglia, quella olimpica, a prescindere dal metallo. Storie di sport che Tokyo 2020 ha regalato al mondo, in barba a protocolli e mascherine. Edizione speciale? Certamente sì. Ma quale aggettivo consegna alla storia un’Olimpiade veramente riuscita? Memorabile. Questa lo è stata.

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