Commento

Il prozio Donald e l'America che troverà Biden

Trump continua a giocare con teorie del complotto e ipotesi assurde. Non ce la farà, ma lascia al successore un sistema paralizzato

Barcolla ma non molla (Keystone)
23 dicembre 2020
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Quest’anno non ci saranno i cenoni natalizi, per cui non potremo passare il tempo a ingozzarci mentre un prozio o una biscugina se la prendono coi vaccini, le tasse, gli immigrati, i giovani d’oggi o Soros. Per chi non può proprio fare a meno di questi siparietti, resta una valida alternativa: seguire gli ultimi giorni di Donald Trump alla Casa Bianca.

È chiaro che il presidente uscente non intende lasciare lo Studio ovale senza prima metterlo a ferro e fuoco. Continua a giocherellare con assurde teorie del complotto, con la legge marziale e il sequestro delle macchine elettorali, con l’idea di fomentare il Congresso alla ribellione. Proprio come capita al povero prozio, ormai non gli danno più retta nemmeno i suoi: è ovvio che questo “re Lear in un regno di Twitter al tramonto”, come lo ha definito la Cnn, non riuscirà a rovesciare l’esito del voto. Ma di certo farà di tutto pur di continuare a screditare le istituzioni fino all’ultimo, con un comportamento più da buffone che da sovrano (anche se scelte come quella di accelerare le esecuzioni federali non fanno proprio ridere).

Ad ogni buon conto, dopo quattro anni del genere una cosa possiamo dirla con un certo sollievo: il sistema americano ha retto. I ‘pesi e contrappesi’ tra diversi poteri hanno fatto sì che Trump abbia abbaiato ben più di quanto sia riuscito a mordere. Un ultimo esempio: il fatto che perfino la Corte suprema, a maggioranza repubblicana, abbia respinto i suoi ricorsi.

Questo, però, non significa che Joe Biden si troverà in posizione di forza, anzi. Al di là dei danni causati dal trumpismo – e più in generale dalla degenerazione populista del partito repubblicano negli ultimi trent’anni o giù di lì – il rischio è che il neoeletto debba governare come per molti anni dovette fare Barack Obama: per decreto, senza riuscire a cambiare davvero la legge a causa di un Congresso spaccato e paralizzato. Col rischio, poi, che un successore possa cancellare quanto fatto con un colpo di spugna.

Fa temere questa prospettiva lo scenario in Senato, dove nel migliore dei casi il ballottaggio in Georgia darà ai Democratici un pareggio, con la sola Kamala Harris a fare da ago della bilancia per ogni atto della futura legislatura. Ma la fanno temere, più in generale, le enormi crepe nell’edificio federale: la guerra di sabotaggio tra Washington e i singoli Stati e l’estremizzazione della classe politica, favorita da un sistema elettorale che conferisce peso eccessivo alle realtà più periferiche e che agevola, attraverso il perverso disegno dei collegi elettorali, l’elezione dei ‘duri e puri’ scelti dai militanti alle primarie.

Così Biden – che non ha certo il carisma di Obama ­– dovrà lottare con una realtà apoplettica, radicalizzata e sempre meno credibile agli occhi degli stessi americani. La sua squadra raccoglie esperienze, competenze e una varietà di destini ben superiori a quelle dei ‘vecchi maschi bianchi’ di Trump; il programma manifesta una dignitosa attenzione alle sfide sanitarie e sociali del Paese. Per fare meglio c’è da augurarsi che basti così, con tutto quello che gli Usa hanno dovuto subire finora: ci speriamo in molti, ma sarà bene non illudersi troppo. Intanto il prozio continua a blaterare.

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