Commento

Caso Chiappini: via Borghetto, quante domande!

Sul chi sapesse cosa si gioca anche la credibilità di altre personalità della diocesi e magari anche della facoltà di teologia

Don Azzolino Chiappini (Foto archivio Ti-press)
23 novembre 2020
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Il fermo giudiziario di una personalità di primissimo piano del mondo cattolico ticinese per presunti reati di inaudita gravità ha fatto piombare i vertici della diocesi nel silenzio e nell’imbarazzo più profondi. Comprensibile perché monsignor Azzolino Chiappini, sacerdote di spicco e di grande levatura intellettuale, ha una lunga e feconda storia dentro la diocesi (e non solo fra quelle mura) e la sua persona, colta e dotta, ha significato parecchio per molti ticinesi, uomini di chiesa e no. Il suo nome è strettamente legato alle alte sfere episcopali, avendo egli esercitato in più occasioni la funzione di sostituto vescovo per numerosi eventi religiosi - le cresime ad esempio - su delega del vescovo medesimo ed essendo stato rettore della facoltà di teologia dell’ateneo luganese. Come detto, ben capiamo quindi l’imbarazzo della curia quando, nella tarda serata di sabato e quindi ad oltre un giorno dal suo fermo avvenuto venerdì sotto gli occhi di qualche passante, ha ufficialmente confermato che era finito (genericamente) in procura ‘un presbitero incardinato nella diocesi’, precisando altresì le ipotesi di reato e citandole espressamente (sequestro di persona, coazione, lesioni semplici per condotta omissiva). Un comunicato redatto con un’importante aggiunta per la gerarchia ecclesiastica: ‘nella fattispecie non sono implicati minori’. Tradotto: è già grossa così, almeno quello ce lo risparmiamo e ve lo diciamo subito. 

Ora l’inchiesta della magistratura farà il suo corso e dirà cosa ci facesse quella donna rinchiusa (da quanto tempo?) in quell’appartamento in condizioni pietose a due passi dalla cattedrale di San Lorenzo. Ovviamente, va ribadito che a favore di monsignor Chiappini vale la presunzione di innocenza, ma le domande sul caso di via Borghetto 2 all’ombra del campanile sono davvero tante. Prendiamo pure atto che la diocesi si è detta disposta a collaborare appieno con gli inquirenti per chiarire l’incredibile fattispecie. Ci auguriamo sia la dimostrazione del fatto che i tempi dei panni sporchi lavati in casa (o in chiesa) siano veramente tramontati.

Considerate le numerose reazioni giunte al giornale, è evidente che la nostra incredulità e il nostro sgomento sono anche l’incredulità e lo sgomento di tantissime persone in Ticino e persino dentro il clero. Attendiamo che la procura ricostruisca con solerzia i fatti (chi ha fatto cosa e, se lo ha fatto, se era nella pienezza delle proprie facoltà mentali) e, non da ultimo, considerata la posizione (ubicazione) dell’alloggio dell’alto presbitero e le sue frequentazioni universitarie e di chiesa, che si appuri anche chi fra gli ecclesiastici sapesse cosa di questa presenza femminile (nascosta?). E, caso mai, chi aveva notato qualcosa di strano, di cosa si era effettivamente accorto. Perché, evidentemente, dato per scontato che la responsabilità penale è personale (ciascuno risponde per i propri atti e per certe proprie omissioni di fronte al giudice penale), su quest’ultimo aspetto - cioè sul chi sapesse cosa - si gioca anche la credibilità di altre personalità della diocesi e magari anche della facoltà di teologia.

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