Quello di cui abbiamo bisogno è una riflessione sulle vere sfide del 5G, tra fiducia verso le istituzioni e trasformazioni sociali. Al di là delle tifoserie
E se provassimo, per una volta, a parlare di 5G andando al di là di antenne, potenza delle emissioni, lunghezze d’onda, cancerogenicità, moratorie? Soprattutto, andando al di là del gioco “sei favorevole o contrario”, buono per il tifo sportivo e non per un serio dibattito pubblico? È quello che gli amici della Fondazione Möbius e della Biblioteca cantonale di Lugano hanno tentato di fare lunedì sera, invitando Fulvio Caccia e Graziano Martignoni, con l’idea, appunto, di ampliare lo sguardo su un tema che ormai non è più solo tecnologico.
Un incontro interessante, anche se l’aspirazione a una discussione seria sull’argomento si è purtroppo rivelata illusoria – e non tanto per la presenza, peraltro ben gestita dai moderatori, della rumorosa minoranza degli oltranzisti anti 5G con le loro “ricerche non ufficiali”, onde millimetriche, alberi abbattuti eccetera. Il vero problema, piuttosto, è quello di aver forse guardato troppo lontano, abbracciando un panorama così ampio che, grazie anche all’erudizione dei due oratori, è stato fin troppo facile perdervisi.
E il primo di questi concetti-chiave è certamente la fiducia: la sensazione, seguendo l’incontro, è che le (preziose) informazioni tecniche – su onde elettromagnetiche, regolamentazioni ed effetti sulla salute – presentate da Caccia siano un po’ cadute nel vuoto. Perché complesse, perché anche a chi piace il progresso spesso sono oscuri i metodi e i tempi della ricerca scientifica. Resta la fiducia: nelle istituzioni nazionali e internazionali che vagliano e valutano l’imponente mole di ricerche spesso contraddittorie – e ci potremmo aggiungere anche la fiducia verso associazioni, aziende, cittadini. Fiducia non vuol dire fede cieca e incondizionata. Non si tratta, quindi, di accettare in silenzio quanto affermato o imposto da qualcuno, ma di riconoscerne l’autorevolezza (e i limiti di questa autorevolezza). Di fronte alla crescente complessità della nostra società, diventa sempre più importante saper valutare correttamente chi e quanto è meritevole di fiducia.
Il secondo punto – e penso qui all’intervento di Martignoni – riguarda il rapporto tra umanità e tecnologia. Risparmiandovi le citazioni heideggeriane, è indubbio che molte innovazioni ridefiniscano la nostra società e quindi la nostra idea di umanità. È sempre avvenuto così e se devo pensare alla tecnologia che più ha cambiato la natura umana, più che a computer e cellulari mi viene in mente la scrittura. Tuttavia oggi assistiamo a un’accelerazione che rende difficile, almeno per parte della popolazione, trovare un proprio equilibrio. Ma la risposta non può essere il pensiero nostalgico verso un passato creduto “più autentico” e in realtà mai esistito perché immaginato in base a (comprensibili) timori: è questo un atteggiamento altrettanto sciocco dell’acritica accettazione della retorica del progresso morale dell’umanità attraverso la tecnologia, purtroppo unica risposta delle aziende di telecomunicazione alle perplessità di parte della popolazione. La sfida del 5G non è il numero di dispositivi connessi per chilometro quadrato, ma la nostra capacità di riflettere, come società, sulle trasformazioni che la tecnologia comporta. Ma è un ragionamento difficile, se ci si ferma a sragionare di onde elettromagnetiche killer, morie di insetti e uccelli, verità nascoste da una potente congiura globale – ovviamente smascherata da uno studente che aveva due ore libere – e via elencando bufale e complottismi che purtroppo non mancano, nel dibattito sul 5G.