Commento

Inconsistente controprogetto all'iniziativa sulle multinazionali

La maggioranza borghese del Consiglio degli Stati scommette su un'alternativa light senza norme sulla responsabilità civile: una foglia di fico

(Keystone)
19 dicembre 2019
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Le grandi imprese (più di 500 dipendenti) con sede in Svizzera e attive all’estero dovranno indicare ogni anno in un rapporto come gestiscono i rischi di violazione dei diritti umani e delle norme ambientali. Dovranno ottemperare anche a un obbligo di ‘dovuta diligenza’ (individuare e analizzare i rischi, adottare misure idonee a ridurli e a porre fine alle violazioni, sorvegliarne l’efficacia e rendere conto di quanto fatto), ma solo per quel che riguarda il lavoro minorile e i ‘minerali provenienti da zone di conflitto’. Non potranno però essere chiamate a rispondere sul piano civile per i danni cagionati dalle società da loro controllate all’estero.

Sfornato dal Consiglio federale in pieno dibattito parlamentare (prassi alquanto discutibile dal profilo istituzionale), difeso a spada tratta da Economiesuisse e da Swissholdings (l’organizzazione mantello delle multinazionali), il controprogetto light ideato dalla ‘ministra’ di giustizia e polizia Karin Keller-Sutter è una risposta inconsistente all’iniziativa ‘Per imprese responsabili’. Inconsistente e politicamente rischiosa. Ma astuta.

La maggioranza borghese del Consiglio degli Stati che ieri lo ha preferito a quello assai più incisivo (con disposizioni sulla responsabilità civile) della sua commissione, sa bene che un obbligo di rendiconto condito con un pizzico di ‘dovuta diligenza’ non basterà a convincere i promotori dell’iniziativa a ritirare il loro testo. Il Nazionale deve ancora dire la sua. E non è detto che si conformerà. La scommessa, in ogni caso, è già lanciata: tirare dritto, ‘forzare’ una votazione popolare, nella speranza che quella parte dell’economia che ora sostiene il controprogetto più robusto (diverse organizzazioni padronali, soprattutto romande, e la comunità d’interessi del commercio al dettaglio, di cui fanno parte anche Migros e Coop) alla fine si defili, non restandole altra scelta – di fronte a un’iniziativa ‘estrema’ – che prediligere l’opzione ‘ragionevole’ (il controprogetto light).

‘Ragionevole’ solo a prima vista, in realtà. L’obbligo di rendiconto, dicevamo, è una risposta inconsistente all’iniziativa. Anzitutto perché corrisponde allo standard minimo nella zona Ue. Molti Paesi si sono già spinti oltre, o lo stanno facendo, inserendo nelle rispettive legislazioni norme sulla dovuta diligenza e anche sulla responsabilità civile delle imprese per le attività svolte all’estero. Nessun ‘Alleingang’, e la Svizzera non farebbe da pioniera. Allineandosi al minimo comune denominatore, abdicherebbe però al ruolo che le spetta sulla scena mondiale: schiverebbe la particolare responsabilità che deriva dal fatto di essere mecca di multinazionali (del settore delle materie prime, ma non solo) che fanno affari nei Paesi del Sud, a volte senza curarsi troppo di diritti umani e ambiente.

Non è solo questo. A cosa servirebbe un obbligo di rendiconto non accompagnato da regole vincolanti, che ad esempio rendano possibili – a certe severe condizioni, come quelle previste dal controprogetto scartato ieri – processi in responsabilità civile davanti ai tribunali elvetici? Per le imprese, un rapporto annuale dove copiaincollare su carta patinata qualche considerazione su diritti umani e ambiente potrebbe diventare una foglia di fico, utile solo per camuffare reali responsabilità e blandire così l’opinione pubblica. Senza dimenticare una cosa: se una multinazionale prende sul serio l’obbligo di diligenza, cioè se prova di aver preso tutte le precauzioni ragionevolmente esigibili per evitare il danno, la responsabilità decade. Di questo gli avversari dell’iniziativa e del controprogetto non parlano volentieri. Come mai, se le imprese che difendono non hanno nulla da nascondere?

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