Un'ora di lavoro, oggi, produce cento volte più orologi che all'epoca di Mozart, mentre un'ora di violino produce altrettanto Mozart di quando lui era vivo

Accostare il Ticino estivo all’economista William Jack Baumol (forse sconosciuto anche agli economisti, benché negli anni Sessanta qualche professore universitario osava proporlo per il suo “Capitalismo buono, capitalismo cattivo” o per “La macchina dell’innovazione”) potrà sembrare una bizzarria, ma non è fuori posto e insegna qualcosa.
Per quanto il Ticino offre nel periodo estivo, ma ancora nel mese di settembre, dal Mendrisiotto alla Valle Maggia, alla Valle di Blenio o Leventina, in concerti di musica classica, di musica più antica della tradizione europea (con il canto gregoriano o i canti dei trovatori o i canti polifonici), di organo (che rianimano pure preziosi strumenti di alcune chiese), c’è da rimanere stupiti e forse inorgogliti. Sarebbe deprimente sostenere che c’è solo una finalità turistica, anche se l’etichetta è quella, perché si deve ricorrere a finanziamenti e sponsorizzazioni con quel pretesto. Più giusto è ammettere che l’intraprendenza di alcuni coraggiosi promotori vuole portare animazione culturale di un certo livello, gratuitamente (benvenuta un’offerta all’uscita), puntando sul riscontro di interesse e impegno culturale fuori dai soliti centri.
Che c’entra l’economista Baumol (morto poco tempo fa, 95enne). C’entra perché è stato definito “uno degli ultimi grandi vecchi della cultura umanistica e non solo del pensiero economico”. C’entra soprattutto per la sua originale analisi sulla “malattia dei costi”, che, a ben pensarci, discende da quella cultura europea (oggi purtroppo dimenticata o disprezzata) ed è applicabile ai casi nostri. Baumol per far capire la sua tesi proponeva un esempio. Un quartetto di Mozart, con un tempo di esecuzione di mezz’ora, che nel ’700 richiedeva quindi due ore-persona di esecuzione (mezz’ora per quattro) richiede oggi esattamente la stessa quantità di tempo-persona. In quasi tutte le attività economiche, la produttività (più produzione per ora lavorativa) è però cresciuta in maniera esponenziale. Un’ora di lavoro, oggi, produce cento volte più orologi che all’epoca di Mozart, mentre un’ora di violino produce altrettanto Mozart di quanto lui era vivo. Tenendo conto che i salari degli orchestrali sono correlati a quelli del resto dell’economia (gli orchestrali non vivono dell’aria di trecento anni fa), ciò significa che un concerto di Mozart costa oggi… cento volte più orologi che nella sua epoca.
Che cosa si può trarre da quell’esempio? Ci sono settori, come quelli dei concerti (ma anche di un sevizio di persona, come una cura ospedaliera, ad esempio) dove il lavoro stesso diventa prodotto finale. Se riduci il lavoro, o annienti il prodotto (il quartetto di Mozart non può diventare un foxtrot) o squalifichi il servizio (una cura medica non è come manovrare una pressa), si deve allora dedurre che sono improduttivi o che costano troppo per proporli ancora e continuare a mantenerli o che vanno sostituiti con qualcosa di più “utile” ed efficiente o che non coinvolgono un numero sufficiente di persone per giustificarne impegni e oneri? Sarebbe assurdo e inumano, dice Baumol. Bisogna tenerli in vita perché sono fondamentali per la crescita culturale, l’educazione dei cittadini, la loro salute mentale e fisica, le interrelazioni che corrono tra le persone quando amano il bello. Economicamente basterebbe che i benefici della produttività realizzati da una parte fossero redistribuiti a vantaggio di quelle attività, sussidiandole, ad esempio. Chi con ottuso populismo insinua l’idea dello spreco venduto come cultura o della sopravvivenza permessa solo a chi riesce ad autofinanziarsi, uccide non solo Mozart ma la bellezza.