Commento

Giuseppe Conte nutre fiducia

“In Italia non sta tornando il fascismo”

Keystone
27 aprile 2019
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“In Italia non sta tornando il fascismo”. Gli storici (non tutti) si sgolano a correggere le Cassandre che vedono oscurarsi l’orizzonte confondendo, dicono gli accademici, l’oggi con situazioni di quasi un secolo fa. Sarà.

La questione non è, tuttavia, se la storia si ripeta o no. Certo che non si ripete. Non nella stessa forma, almeno; perché la forma si adegua ai tempi. E quelli di oggi lo confermano. La stessa, urticante, controversa definizione di Piero Gobetti del fascismo come “autobiografia della nazione” può valere per interpretare con adeguata attendibilità i nostri giorni. Linguaggio, modi, pulsioni collettive, personaggi che oggi concorrono a rappresentare l’Italia e definirne i destini sembrano ripresi da un copione già andato in scena, partito in burletta e risolto in tragedia.

Giuseppe Conte, per esempio: mesi fa assicurò che il 2019 sarebbe stato “un anno bellissimo”. Non si può certamente rimproverare a un presidente del Consiglio il tentativo sincero di tenere alto il morale delle sue genti. Non glielo si può rimproverare, diciamo, prima di essersi chiesti almeno due cose. Uno, se il signor “Sarò-l’avvocato-degli-italiani” è davvero il capo del governo in carica. Due, se per caso il morale da tenere alto non fosse il suo, innanzitutto. Nel secondo caso lo si potrebbe, umanamente, capire: messo lì a simulare un ruolo che non esercita, avendo abboccato all’esca della vanità, dovrà pur convincersi di contare qualcosa. Ma si rassegni: non come capo del governo. Non c’è stata sinora decisione politica di rilievo (e quante, e gravi) delle quali possa rivendicare la paternità politica. Ad eccezione della “rivendicazione” di correità, impostagli da Matteo Salvini, nel caso del sequestro dei migranti a bordo della nave Diciotti, fingendosi disposto a scarificare sé e l’intero governo per salvare il ministro dell’Interno.

Ecco, se una figura viene alla mente è quella di Luigi Facta come la descrisse Emilio Lussu nel suo fondamentale ‘Marcia su Roma e dintorni’. Nominato capo del governo dal re Vittorio Emanuele III nel luglio 1922, in pieno fermento prefascista, e del tutto impotente a fermare Mussolini e i suoi, il buon avvocato piemontese era solito affermare “nutro fiducia”. Così tanta, che i fascisti, ancora una minoranza, si presero il governo (complice il Savoia) e una volta preso divennero maggioranza. Il potere piega e attrae, anche chi giurava che mai si sarebbe adeguato

Dire che gli eventi di oggi sono la replica di quelli è certamente scorretto. Ma come un partito, la Lega, “forte” del 17% dei voti sia giunto a imporsi quale signore indiscusso di un governo del quale fa parte anche una formazione che di voti ne aveva presi il doppio, è sotto gli occhi di tutti. Trasformando un esercizio arbitrario del potere nel volano di un prevedibile successivo exploit elettorale. Facendo valere il consenso (in costante crescita) più del manganello, come riuscì in effetti a Mussolini. E oggi ai suoi sembianti in mezza Europa.

Chiedersi dunque se il governo durerà o no è una domanda in buona parte oziosa. Conte e i suoi sponsor grillini fingono talvolta di smaniare, di rovesciare il tavolo e smentire le millanterie di Salvini, ma sono costretti a “nutrire fiducia”, pena la scomparsa. Di cui ha già fatto esperienza una sedicente sinistra, sconfitta dall’incapacità di tener fede alla propria ragione sociale o quantomeno di comprenderne le mutazioni, e dall’arrogante vanità dei propri mediocrissimi leader.

È anche questa una pagina dell’autobiografia della nazione, e spiace doverla rileggere ancora una volta.

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