Commento

‘Neinsager’ a corto di alternative

16 maggio 2017
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Non potremo più mangiare banane e carne, né consumare caffè? I black-out bloccheranno i treni? Pagheremo molto di più per l’elettricità e la benzina? Faremo la doccia con l’acqua gelata? E passeggeremo in Val Verzasca sotto una selva di pale eoliche? I politici vanno spesso sopra le righe quando s’avvicinano votazioni o elezioni. La Svizzera non fa eccezione. Qui di regola i toni sono compassati, le argomentazioni fondate su fatti e ponderate, il confronto dialettico – per duro che possa essere – (quasi) sempre leale. Ma il vento delle notizie farlocche ha cominciato a soffiare anche alle nostre latitudini. E così da qualche settimana, a campagna sulla Strategia energetica 2050 (Se 2050) entrata nel vivo, ne sentiamo e leggiamo di tutti i colori. Forse come mai prima d’ora.

L’Udc e i suoi pochi alleati (sparuti esponenti del Plr, una parte del mondo economico, alcune figure dell’ambientalismo non istituzionale) la fanno facile. Sono bravi a dire ‘no’: no perché in inverno con sole e vento non si produrrebbe abbastanza elettricità; no perché lo Stato imporrebbe a tutti i contatori intelligenti, con i quali controllerà e piloterà i nostri consumi; no a ‘un’economia pianificata’ e alle sovvenzioni alle nuove rinnovabili (ma sì a quelle a favore dell’idroelettrico...); addirittura no perché le pale eoliche deturperebbero il paesaggio (da quando in qua sta loro a cuore?), salvo poi dire no anche a limiti più severi alle emissioni dei veicoli. E via dicendo.

La realtà però è testarda: la centrale nucleare di Mühleberg sarà disattivata nel 2019 per decisione del gestore; Beznau I e II seguiranno negli anni a venire (sempre che l’Ispettorato federale le riterrà sicure fino ad allora); e attorno al 2035 gli impianti meno vecchi (Gösgen e Leibstadt) giungeranno al termine del loro ciclo di vita. La Se 2050 vieta la costruzione di nuove centrali nucleari, avventura nella quale comunque nessuno ora si sognerebbe di imbarcarsi: il business non rende più, costerebbe troppo applicare gli standard di sicurezza più avanzati, e sul piano politico – dopo la catastrofe di Fukushima – l’energia atomica è in perdita di velocità. Pochi, inoltre, oggi come oggi scommetterebbero sulla possibilità di sviluppare a medio termine nuove tecnologie nel settore (la Se 2050 peraltro non la proibisce). E allora: come sostituire quel 40% scarso di elettricità indigena attualmente prodotto dai vetusti impianti che verrà a poco a poco a mancare nei prossimi 15-20 anni?

I ‘Neinsager’, così prolifici quando si tratta di demolire a colpi di slogan, si fanno a un tratto balbettanti quando devono indicare in che modo dovremmo far fronte a questa estinzione, apparentemente ineluttabile, del nucleare in Svizzera. Sparano ad alzo zero sulle rinnovabili e sulle misure destinate a migliorare l’efficienza energetica. Ma di alternative credibili non ne indicano. Nemmeno loro credono davvero che qualcuno oggi sia disposto a investire in una o due centrali a gas non redditizie e per di più inquinanti, con le quali tra l’altro dovremmo dire addio agli impegni presi nel quadro dell’Accordo di Parigi sul clima. Meglio dunque, ‘faute de mieux’, continuare a spararle grosse, sperando che gli elettori se le bevano.

La Se 2050 è lungi dall’essere perfetta. Oltretutto non abbiamo nessuna idea di quel che verrà dopo: il Parlamento non vuole sentir parlare di tasse che disincentivino l’utilizzo di fonti fossili (doveva essere la seconda tappa della Strategia). E senza questa o altre misure, si rischia di restare in mezzo al guado: una ‘svolta’ a metà. Ma tutto sommato il ‘pacchetto’ ha il pregio di indicare una direzione, dei tempi e delle modalità ragionevoli e credibili per voltare la pagina del nucleare.

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