Commento

Avs, demografia e politica

21 settembre 2016
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Otto von Bismarck diceva che la politica è l’arte del possibile. Ma la politica è anche l’arte di trasformare il possibile in impossibile. Prendiamo l’iniziativa AVSplus. Chi la combatte ci dice che non c’è scelta: non possiamo permetterci il lusso di aumentare le rendite Avs del 10 per cento. La demografia è inesorabile: la popolazione invecchia, i ‘baby-boomers’ stanno andando in pensione. Dalla cassa Avs ormai escono più soldi in rendite versate di quanti ne entrino in contributi. Avanti così, senza correttivi, e il primo pilastro crollerà: il buco sarà di 7 miliardi di franchi nel 2030; di 12 e rotti, se il 25 settembre la proposta dei sindacati sarà accolta alle urne. Il possibile – lo 0,8% in più di contributi salariali, fermi dal 1975 (!), per finanziare l’aumento delle rendite – è semplicemente impossibile. La demografia ha le sue leggi, non si discute. E non abbiamo ragione di credere che oggi gli uffici federali preposti non sappiano fare i loro calcoli, benché in passato questi si siano a volte rivelati erronei. Il fatto è che, quando è brandita come una clava dai politici, la ‘verità demografica’ – causa dell’‘ineluttabile tracollo’ dell’Avs – “distorce la realtà”. Lo ha spiegato alla ‘Wochenzeitung’ Matthieu Leimgruber, professore all’Università di Zurigo e specialista della storia della sicurezza sociale in Svizzera. L’argomento era presente già negli anni 90. Oggi più che mai è “un utile strumento per ottenere obiettivi politici”. Forte della sua ‘scientificità’, alimenta un “pessimismo nelle previsioni” che “è sempre servito allo smantellamento” dell’Avs. “Suggerisce – afferma Leimgruber – una via senza alternative: riduzione delle rendite o aumento dell’età di pensionamento”. E dopo chi si ricorda più che “la Svizzera è uno dei Paesi più ricchi”, dove “l’economia va bene”, che “l’Avs non è indebitata ma è estremamente stabile”, che il primo pilastro costa in relazione al Pil tanto quanto costava nel 1975 (anche se da allora il numero di pensionati è raddoppiato) e via dicendo? I contrari ad AVSplus ci diranno che non vogliono ridurre le rendite, solo mantenerle al livello attuale; e che non si tratta qui di aumentare l’età di pensionamento. In effetti non è su questo che si vota il 25. La ‘verità demografica’, però, detta la linea che già dall’indomani rischia di imporsi in parlamento. Nella commissione del Nazionale che ha esaminato la Riforma 2020 del sistema previdenziale, Plr, Udc e Verdi liberali da un lato si sono rifiutati di compensare come si deve il calo delle rendite del secondo pilastro (a seguito del prospettato abbassamento del tasso di conversione), dall’altro hanno introdotto un meccanismo che farebbe scattare automaticamente, oltre il 2030, un aumento graduale fino a 67 anni dell’età di pensionamento. L’argomento è il medesimo: se non ci adeguiamo subito all’evoluzione demografica, il primo pilastro si sgretolerà. La demografia c’entra poco. Plr, Udc e organizzazioni dell’economia sanno che tagli alle rendite e aumento dell’età di pensionamento avrebbero vita dura davanti al popolo (la batosta del 2010 sull’abbassamento del tasso di conversione Lpp è lì a ricordarcelo). Meglio quindi depoliticizzare la questione, ideando un automatismo da sottrarre al giudizio popolare, e che peraltro non faciliterà l’avvio di una riflessione che si fa urgente: quella sull’abbandono dell’età di riferimento legale (vedi Svezia) a favore di una flessibilizzazione dell’età di pensionamento, a seconda del mestiere esercitato. Siamo lontani da lì. La politica ora si fa andando alle urne domenica: è la prima volta dal 1947 che le cittadine e i cittadini svizzeri votano su un aumento delle rendite Avs. L’occasione è storica.

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