Commento

Il breve passo dalla realtà aumentata alla realtà diminuita

Lorenzo Pezzoli
(Samuel Golay)
20 luglio 2016
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di Lorenzo Pezzoli - Psicologo e psicoterapeuta, Docente e ricercatore SUPSI

Se c’è una cosa che dimostra come oggi il rapporto col mondo passa da uno schermo (casomai fosse necessario avere ancora conferme in merito), sempre di più e oramai dappertutto, è la tendenza-tormentone provocata da Pokemon-Go. Occorre valutare due questioni che spiccano su tutto. La prima, piuttosto banale, è quanto siamo manipolabili. La “App” dei Pokemon dimostra la nostra influenzabilità, basta vedere quante persone muove (letteralmente e a volte a rischio della propria incolumità) questo gioco. La seconda invece conferma quanto emerso a livello di nuove dipendenze, quelle senza sostanza per intenderci, che si orientano sempre più nella direzione di una impossibilità a staccarsi da uno schermo che sia televisore, video o smartphone. Lo si era già intuito e segnalato da tempo che questo progressivo legame con lo schermo (al di là di quanto si fa) era la nuova problematica emergente delle società tecnologizzate. A cosa può portare lo stiamo vedendo oggi con la Pokemon mania dove sembra esserci una diffusione virale di questa applicazione che trasforma la realtà. O meglio, che impone di filtrare la realtà attraverso lo schermo del proprio telefono per vedere non tanto quello che c’è, quanto quello che vi viene rappresentato. Questo con buona pace di un giocatore che ha dichiarato di scoprire monumenti e bellezze grazie a questo gioco, come se la realtà non bastasse più da sola, come se ci fosse bisogno di qualcosa che la potesse rendere interessante. L’importante sembra il fatto di restare sempre impegnati in un’attività, in tensione, senza possibilità di accettare una temporalità diversa da quella imposta dal gioco, quella temporalità che consente di pensare, divagare, accedere ai propri stati interiori. Una modalità di approccio che fa rinunciare ad uno sguardo personale (e originale), non orientato da una attività predefinita. Che le nuove tecnologie avessero già favorito, mutandolo, un filtro nel contatto interpersonale reale, a volte distorcendolo fino a sostituirlo mantenendolo nella virtualità, lo si era visto in atto da tempo. Che ora la realtà intera venga mediata da un cellulare sotto il fuorviante concetto di “realtà aumentata” appare come una sinistra profezia delle derive nell’uso della tecnologia: un grande esperimento riuscito. Un esperimento che dimostra, tra l’altro, che oramai non siamo nemmeno più in grado (tanto siamo oramai abituati oramai a mediare la quotidianità con la tecnologia) di considerare strano, fuori luogo, inopportuno o semplicemente ridicolo, girare guidati da uno schermo. Ed è su questa “normalità” che spesso si insinuano le nuove dipendenze poiché ciò che sentiamo come familiare, d’uso quotidiano o condiviso fa abbassare i nostri livelli di attenzione. Poi ci sono le parole che distorcono: infatti la realtà dichiarata “aumentata” è invece  impoverita, abilmente orientata su quello che chi ha studiato il gioco vuole che vediamo. Certo se parliamo di dipendenza e sostanze, magari quelle che destano immagini sinistre come l’eroina, siamo tutti d’accordo ad alzare i livelli di attenzione; collocare questo concetto su qualcosa che sembra apparentemente innocuo e giocoso è meno evidente. Abbassare la guardia è rischioso così come lo è perdere criticità sull’onda del “tutti lo fanno” (concetto sperimentato come efficace dall’epoca del “detersivo più usato dalle casalinghe italiane”). Speriamo almeno che questo fenomeno ci aiuti a cogliere le fragilità sottostanti la nostra società e a porvi rimedio, una società che cercando il Pokemon di turno si dimentica, e non vede, la meraviglia di un tramonto, che perde l’occasione di un incontro, o la possibilità di un pensiero, di quelli che arrivano quando si passeggia lasciando vagare lo sguardo e la mente. Si corre il rischio che guardando ostinatamente uno schermo non si colga un pericolo, non si noti una sofferenza oppure una richiesta di aiuto. Avvolti in questi autismi indotti ci perdiamo restando in balia degli eventi e del mondo. Un mondo che può arrivare poi a imporsi con la sua violenza ed effettiva realtà rompendo gli schermi del gioco all’ultima moda che fino a quel momento ci aveva distratti.