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Amira Hass: domani andrà peggio

C’era una volta, tra il 5 e il 10 giugno 1967, la Guerra dei sei giorni, che portò Israele alla conquista della Cisgiordania, della Striscia di Gaza, del Sinai, delle alture del Golan e di Gerusalemme Est. Questa vittoria rese famoso il Generale Moshe Dayan che, banda nera alla pirata, divenne una star. Anch’io lo vidi come il “salvatore” della Sacra Patria. La vittoria leniva la vergogna della persecuzione degli ebrei. A Lugano, per discuterne venne il giornalista Indro Montanelli il quale, dopo aver spiegato le cause del “conflitto”, concluse: “Non crediate che gli israeliani siano gli ebrei della shoah. Questi sono come i Texani, a loro interessa solo il territorio, con qualsiasi mezzo!!!”. Uscii sconvolta da questo ribaltamento d’immagine. Mah!

Amira Hass è una giornalista israeliana che ha deciso di vivere a Gaza e da molti anni racconta quello che vede, che sente, che ascolta. Scriveva il 16 settembre 2016: “Negli ultimi due anni (2014-2015) l’esercito israeliano ha intensificato l’uso delle armi da fuoco contro ragazzi che cercano di opporsi alle incursioni notturne nei campi profughi e nei villaggi. I cecchini sparano alle gambe, le pallottole rompono le ossa, squarciano i muscoli, bruciano i tendini e i nervi […]”. Amira Hass, considerata “la Voce della Palestina”, è l’unica giornalista israelita a vivere nei territori occupati, a Ramallah. Figlia di sopravvissuti alla shoah, nata a Gerusalemme nel 1956, da tempo si è autoesiliata. Può apparire radicale, estremista, una “traditrice”, “un’ebrea che odia sé stessa”, ma lei continua nel suo lavoro di cronista “dall’altra parte”.

Dopo l’inizio dell’eccidio, però… fu il silenzio. La vedevo già finita in compagnia delle troppe giornaliste uccise perché in cerca di verità. E invece oggi eccola: La disperazione non è propaganda… e gli spari del 29 febbraio non sono stati un incidente.
“La nostra missione è raccontare gli orrori della guerra con accuratezza e senza pregiudizi… Abbiamo il dovere di darne testimonianza”. Così amava ricordare Marie Colvin, reporter statunitense uccisa in Siria il 22 febbraio 2012.

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