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I passaggi del Lupo

Si ricorda dei sentieri il Lupo, tutti, uno per uno dei mille che percorre. Li scova tra il fogliame sbriciolato della primavera che stenta a palesarsi, costretta da un inverno arso. Son rimaste in alto anche le prede selvatiche, e quelle domestiche ancora stanno nei recinti e nelle stalle. Si ricorda anche di questo atavico passaggio, percorso nei ricordi tramandati per istinto dagli avi sterminati in questi luoghi. Lo ricorda come se l’avesse camminato egli stesso, anche se lo segue per la prima volta. È un tratto dritto che taglia la campagna, ma il terreno non è morbido, sente sotto le zampe l’asfalto – si chiama così, lo sa – e con gli occhi segue questa lingua grigia che conduce a un gruppo di case sconosciute di cui nessuno degli antenati gli ha lasciato una memoria. E lo affiancano carri rumorosi, senza cavalli e gli uomini seduti dentro la carrozza lo guardano con degli strani occhi di vetro. Lo affiancano senza tema, lo scrutano per alcuni istanti e poi danno di frusta e con ruggiti se ne vanno.

Il Lupo prosegue sul sentiero che svolta verso la montagna, attraverso le case, ma un altro carro lo insegue dappresso. Sotto le zampe ancora asfalto e il passo si allunga resistente, è abituato a miglia e miglia, ma il carro non demorde, con quelle luci che abbagliano e non si possono guardare. Risale il sentiero d’asfalto, ormai è chiaro che l’uomo dentro al carro vuole prendersi gioco di lui con l’ottusità dell’inseguitore, forse pensando all’ottusità dell’inseguito. Il Lupo lascia fare, lascia che lo guardi con il suo occhio di vetro, ha capito che in questo mondo quello strumento è indispensabile all’uomo per la sua sopravvivenza.

Il sentiero d’asfalto si snoda già nel cuore dei boschi quando il Lupo scarta a sinistra, lasciando il duro cammino per le morbide foglie tra gli alberi. Il carro si ferma, non lo può seguire, e allora anche il Lupo si arresta a sua volta per un ultimo sguardo all’uomo, che è uscito dal carro e lo scruta ancora con quel suo occhio luccicante. Poi se ne va, ma sente che l’uomo fischia, come quando chiama uno dei suoi cani, chissà perché.

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