Negli ultimi mesi si è tornato a parlare con forza del progetto del centro intermodale di Gambarogno, parte integrante del PALoc - Piano d’Azione per la Mobilità del Locarnese. Un’iniziativa ambiziosa, che prevede la realizzazione di un marciapiede ciclopedonale e soprattutto la progettazione di un nodo intermodale a San Nazzaro: una piattaforma di scambio tra treno, autobus, bicicletta, automobile e, idealmente, anche battello. Sulla carta, tutto sembra perfetto. Un’infrastruttura pensata per migliorare gli spostamenti, ridurre l’impatto ambientale e favorire una mobilità sostenibile. Eppure, come spesso accade, tra il dire e il fare ci sono di mezzo il territorio e la sua complessità.
Proprio ieri, durante una chiacchierata con un caro amico architetto – da sempre osservatore attento e disinteressato del nostro territorio – siamo tornati a riflettere su questo nodo intermodale e sulle sue implicazioni reali. Un tema che, non a caso, conosco bene, avendo avuto l’onore di essere presidente dell’ente turistico del Gambarogno negli anni in cui si gettavano le basi concettuali per un sistema di trasporto pubblico integrato e realmente utile alla regione.
All’epoca, dopo analisi approfondite e con il supporto dei comuni rivieraschi, si era giunti alla scelta di Magadino come punto di riferimento: un capolinea naturale, logisticamente sensato, forte di un collegamento via lago rapido con Locarno. Una scelta non casuale ma centrale nel territorio fra Bellinzona, il piano di Magadino, il lago, Locarno e, appunto il Gambarogno. Scelta nata dalla volontà di creare sinergie in un’ottica regionale, non frammentata. Infatti l’attuale attracco della navetta è ben collocato, è sempre stato un luogo importante di trasbordo tra lago e terra. Oggi, invece, si propone San Nazzaro come nuovo capolinea. Un luogo affascinante, certo, ma logisticamente impegnativo.
Fra la stazione ferroviaria, la strada e il nuovo imbarcadero di spazio ce n’è poco. Si prevede un nuovo pontile all’altezza dell’ex giudicatura di pace – su un terreno elevato di almeno 10 metri rispetto al lago – e un collegamento con la ferrovia che passa almeno 15 metri sopra la strada cantonale e si dovrà verosimilmente realizzare un grande piazzale per i bus con pensiline varie. Basta uno sguardo tecnico per comprendere la portata delle difficoltà realizzative e dei costi. E il dubbio sorge: è davvero questa la scelta più razionale? Un progetto non dovrebbe guardare solo al simbolismo di un’opera nuova, ma al suo funzionamento concreto, alla sostenibilità economica e alla compatibilità ambientale. In questo senso, Magadino resta la scelta più sensata: già oggi dispone di ampi spazi per posteggi, una posizione strategica per la tratta breve e frequente del battello verso Locarno, Tenero e Ascona, e può facilmente collegarsi alla stazione di Riazzino – nodo ferroviario essenziale, spesso dimenticato nelle pianificazioni.
E non dimentichiamo l’area ex Virano, a est del Palazzo comunale di Magadino: da decenni oggetto di pianificazione, potrebbe finalmente trovare una nuova vita attraverso una rivalorizzazione paesaggistica, collegando armoniosamente il parco con la spiaggia pubblica. Un’opportunità da cogliere. Al contrario, l’idea di creare un nuovo attracco a San Nazzaro rischia di compromettere e deturpare un tratto pregiato del lago, in nome di un’opera che potrebbe rivelarsi più problematica che utile.
Ecco, quindi, l’appello: fermiamoci un attimo, guardiamo l’insieme, torniamo a progettare con una visione più ampia, originale ma razionale. La mobilità lenta e il nodo intermodale possono davvero rappresentare un passo avanti per la viabilità e la qualità di vita nel Gambarogno. Ma solo se sapremo fare scelte coerenti con il territorio, economicamente sostenibili e ambientalmente rispettose. In fin dei conti, la vera innovazione è ascoltare il territorio, ascoltare il cittadino, prima di disegnarne il futuro.