laR+ I dibattiti

Approccio sbagliato

Se, da un lato, il Cantone Ticino per il quadriennio in corso ha dato segnali incoraggianti con riguardo al finanziamento dell’attività di formazione accademica e di ricerca scientifica, dalla Confederazione giungono segnali contraddittori e poco lungimiranti. In un periodo difficile, zeppo di incognite e di insicurezze a livello mondiale, ridurre il sostegno ai politecnici federali, alle università svizzere, alle scuole universitarie professionali, al Fondo nazionale e, direttamente o indirettamente, agli istituti di ricerca, appare azzardato. La Svizzera non ha materie prime e ha saputo costruire la sua ricchezza negli ultimi 50 anni anzitutto sulla conoscenza, sull’innovazione e sulla capacità di essere competitivi, e qualche volta persino migliori, a livello internazionale. Nei ranking delle scuole universitarie i nostri politecnici federali si situano al 7°, rispettivamente all’11° posto a livello globale. In altre parole, fra le migliori scuole al mondo. Da tre anni la Svizzera capeggia la classifica mondiale dei Paesi più innovativi. Ciò grazie ad investimenti mirati, a fondi messi a disposizione per finanziare progetti di ricerca scientifica, per promuovere le carriere accademiche di giovani talenti, per sostenere investimenti in infrastrutture e apparecchiature d’avanguardia, premessa per tenere il passo con i tempi e rimanere competitivi. La forza della politica liberale del nostro Paese si è anche sempre fondata sull’accesso facilitato agli studi per tutti in virtù del principio delle pari opportunità di partenza, senza distinzioni di ceto, grazie a un collaudato sistema di aiuto attraverso borse di studio e tasse d’iscrizione accessibili. Anche questo sembra ora essere messo in dubbio, viste le mire di risparmio del prode funzionario Gaillard intese a raddoppiare e persino a triplicare le tasse d’iscrizione ai politecnici federali. Misure in parte già adottate, ma siamo solo all’inizio. Fa male prendere atto che anche in questo campo ci mettiamo a scimmiottare modelli anglosassoni e americani, che assolutamente non ci appartengono, che fanno sì che alle università, ai college, a certi master e a parecchie specializzazioni possano accedere solo figli di famiglie parecchio benestanti, per di più con alti rischi di indebitamento. Sono convinto che stiamo andando nella direzione sbagliata. Già oggi in Svizzera assistiamo, ad esempio, a una preoccupante carenza di medici. Negli ultimi 10 anni ne sono stati formati in Svizzera circa 10’000, ma hanno ricevuto un’autorizzazione ad esercitare circa 30’000 medici. Nei prossimi anni ne mancheranno ancora di più. Così come avremo bisogno, tenuto conto dell’evoluzione dei profili professionali e delle tecnologie, molti più laureati in fisica, in chimica, in biologia, in matematica o in statistica. Settori in cui oggi circa la metà delle persone attive è formata all’estero. Tutto questo per dire che il nostro Stato, Confederazione e Cantoni, deve investire maggiormente, e non risparmiare, nei settori della formazione in generale, a partire dalla scuola dell’obbligo, e di quella accademica in particolare. È ciò che abbiamo bisogno per la crescita della nostra economia, per garantire posti di lavoro ben remunerati anzitutto ai nostri giovani, per promuovere il sapere quale premessa per lo sviluppo di una società moderna, per poter attingere a piene mani dai successi della ricerca scientifica per le sfide del domani legate ai progressi della medicina e delle scienze della vita, all’invecchiamento della popolazione, alle malattie rare, alla protezione dell’ambiente, alla migrazione, alle evoluzioni tecnologiche, intelligenza artificiale compresa. Approcci scientifici che presuppongono delle conoscenze razionali solide e visioni a lungo termine.