laR+ I dibattiti

Istruzione e conoscenza sono fondamentalissime

Conversare o morire: così Zygmunt Bauman indica agli intellettuali contemporanei la via del futuro. Atmosfere simili si possono ideare volgendosi anche altrove, alla politica come alla scuola. Perché, secondo me, sia la politichetta locale sia la geopolitica planetaria, sottintendono il parlarsi, quel parlarsi disuguale che viene poi in parte o di molto disatteso: al limite si adottano parole inconcludenti o si passa a chi vince attraverso le armi. La scuola, quella pubblica uguale per tutti e che non esclude, è molto vicina alla politica: per il fatto che organizza la coppia educazione-istruzione tra le/i giovani, convocate/i senza distinzioni di forza e debolezza. La scuola è un luogo dove si discute, essa ha una valenza potentemente politica – nel senso della polis.

Il nostro Paese, che ha un’anima conservatrice – niente a che vedere con le etichette –, ha conosciuto eventi gradevoli, per esempio la stesura dell’Art.1 e dell’Art.2 della Legge della Scuola. Oggi l’insieme dei cittadini, compresi quelli di innumerevoli origini lontane e più recenti e impegnati in contesti socioeconomici frammentati e mutanti, sono una conoscenza comune – ma di ciò non ne sono del tutto sicuro. Infatti vuole il caso che certi liberali radicali ticinesi non celino quel timbro regressivo per cui si pavoneggiano con la retorica innovativa di una istruzione scolastica meno inclusiva, o addirittura non inclusiva. Il sospetto folclorico è che si vogliano proteggere i bennati di buona famiglia, che si teme restino frenati e indistinti, loro che saranno invece – presumo si pensi – i capi di impresa di domani, nonché i conduttori del bene comune.

Nella storia dopo le idee dell’Illuminismo, applicate non sempre in modo completo, resta conservata la preoccupazione di reggenti e intellettuali che dibattono su se, come, quanto istruire il popolo: l’istruzione sì, i Lumi no. Ai giorni nostri la “sindrome potere/sapere” (Bauman) è sotto un camuffamento estremo, ma è pur sempre presente a fare da spartiacque e produrre il controllo e l’uso delle capacità.

Tutt’altro che scomparsa è la preoccupazione genitoriale regina, che vuole che chi è giovane si formi per abbracciare una professione sicura e remunerativa: pagnotta, benessere, denaro. Anzi conta sempre di più non perdere secondi per essere competitivi da ogni lato. Lo spirito critico può attendere. Ma spirito critico per che cosa, per qualcosa di utile? Per converso i fenomeni sociali tendenti al disordine e all’imprevedibile richiamano a voce sempre più autorevole (dal punto di vista sociologico ed ecologico) di riflettere sul “dove siamo”. Qualcuno – come Lelio Demichelis – parla di “biopolitica disciplinante” quale condizione totale, cioè “sistemica/olistica/teologico-tecnica”, costituita dal mercato e dalla tecnologia in un procedere annodato e incontrastato. Un adattamento biologico, psichico e spirituale che potrebbe essere sul punto di seppellire la pulsione umana dell’autonomia individuale e collettiva.