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L’esenzione delle indennità di licenziamento

(Keystone)

Il diritto del lavoro prevede la possibilità di interrompere il rapporto di lavoro attraverso la disdetta ordinaria e quella straordinaria. La prima ha effetto soltanto alla scadenza del termine di disdetta, in funzione della durata del rapporto di lavoro e non deve essere fondata su alcun motivo specifico, anche se lo stesso può essere richiesto, mentre la seconda non deve rispettare alcun termine di preavviso, ma deve però fondarsi su cause gravi (o insolvenza del datore di lavoro), rispettivamente deve essere notificata tempestivamente dal datore di lavoro al dipendente affinché abbia effetto.

La disdetta in quanto tale può assumere un carattere abusivo. Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, un licenziamento può essere considerato abusivo segnatamente per il modo in cui viene dato, poiché contravviene palesemente al principio della buona fede oppure quando un datore di lavoro viola i diritti personali del lavoratore. Nel diritto del lavoro, la disdetta esplica i suoi effetti anche se la stessa fosse abusiva, fatti salvi i casi che concernono una discriminazione dei sessi.

La sanzione della disdetta abusiva è di natura pecuniaria e persegue una duplice finalità: riparatoria e punitiva. La finalità riparatoria della sanzione deriva, in particolare, dal fatto che essa copre in linea di principio tutti i danni morali subiti dal dipendente licenziato. Inoltre, l’indennità viene versata dal datore di lavoro alla vittima stessa ed è dovuta anche se il dipendente non subisce alcun danno. Questa finalità si riflette anche in alcuni dei criteri che il giudice deve prendere in considerazione per determinare l’ammontare dell’indennità, come la gravità della violazione della personalità del lavoratore, la durata del rapporto di lavoro o gli effetti del licenziamento. L’indennità non potrà comunque mai superare i sei mesi di salario del dipendente. Per contro, la finalità punitiva dell’indennità è quella di sanzionare un comportamento illecito dell’ex datore di lavoro per mezzo di una prestazione materiale, senza che il lavoratore debba a sua volta dimostrare un qualsiasi attentato alla sua personalità.

Una volta determinata l’abusività del licenziamento e stabilito l’ammontare dell’indennità, ci si deve chiedere come questa debba essere qualificata da un profilo fiscale. Secondo il Tribunale federale, il risarcimento ottenuto dalla vittima costituisce un versamento a titolo di riparazione morale destinato a compensare il pregiudizio subito a seguito del carattere abusivo del licenziamento, che, per sua natura, comporta una violazione della personalità. Lo scopo dell’indennità è, infatti, quello di compensare il pregiudizio morale causato dal licenziamento (cd. “scopo riparatore”). Il fatto che il secondo scopo di questo risarcimento sia quello di sanzionare il comportamento del datore di lavoro non occulta la sua prima finalità. Tale indennità deve, quindi, rientrare interamente nella categoria dei versamenti a titolo di riparazione morale. In effetti, secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, è impossibile differenziare le parti dell’indennità destinate a questi scopi quando già il Codice delle obbligazioni non richiede un distinguo.

Se l’indennità viene qualificata come riparazione morale, allora deve essere esentata dalle imposte dirette cantonali, comunali e federale. Lo scopo dei versamenti a titolo di riparazione morale è, del resto, quello di riparare il torto morale subito a seguito di una violazione dei diritti della personalità e le indennità mirano a compensare una violazione immateriale attraverso una riparazione materiale. Una loro imposizione sarebbe alquanto criticabile, poiché lo Stato si arricchirebbe sulle disgrazie dei propri cittadini. Per questo motivo, il legislatore ha deciso, quindi, che i versamenti a titolo di riparazione morale non devono mai costituire un reddito imponibile.

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